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Ue: meno disoccupati, ma anche chi trova lavoro resta povero

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Relazione della Commissione Ue. La qualità dell’impiego e altri fattori fanno sì che solo un nuovo occupato su due abbia benefici economici. Andor: in Italia non solo disoccupazione alta, ma anche un crescente impoverimento della popolazione attiva

BRUXELLES – Una significativa crescita dei livelli di povertà fra la popolazione attiva è uno dei segni più tangibili della crisi economica. Questa è una delle conclusioni principali della relazione annuale sull’occupazione presentata oggi dalla Commissione Europea. E, nonostante ci siano segni di una graduale diminuzione della disoccupazione, a una tale tendenza non fa riscontro una diminuzione del numero di cittadini UE che vivono in povertà.

Nell’Unione Europea, nel corso dell’ultimo anno, solo una persona su tre è riuscita a uscire da una situazione di povertà, e le stime calcolano che solo uno su due di quelli che trovano lavoro riesce a venire fuori da tale situazione. Ciò, secondo la relazione, è dovuto a diversi fattori fra cui la qualità del lavoro trovato, il numero di ore lavorate, la polarizzazione dei salari e il gender gap, o disparità fra uomini e donne.

In Italia non c’è solo un problema di disoccupazione crescente e a livelli molto alti – ha commentato il commissario all’Occupazione Laszlo Andor a margine della presentazione del rapporto – ma il fatto è che anche la povertà della popolazione attiva è in crescita.  Per l’Italia, la cosa importante da fare è rendere più inclusivo il mercato del lavoro – ha aggiunto il commissario, che ha anche sottolineato come il nostro paese sia colpito da tutti i problemi analizzati nella relazione.

“Mi complimento però col ministro Giovannini – ha continuato Andor – per il modo in cui sta conducendo analisi non solo quantitative ma anche qualitative della situazione italiana, che vadano oltre i meri dati riguardanti il prodotto interno lordo e si concentrino anche su altri indicatori. In questo senso, le presidenze greca e italiana saranno di fondamentale importanza per mettere la coesione sociale e il lavoro al centro delle politiche UE e per trarre conclusioni sul da farsi non solo a livello di Unione Europea ma anche di Stati membri”.

La relazione presentata oggi conferma deboli segni di ripresa dell’occupazione nell’Unione Europea, ma ci vorrà del tempo per rimediare ai danni che gli ultimi cinque anni hanno portato in tutta Europa, e comunque tale lieve miglioramento della situazione nell’UE non è abbastanza per lottare efficacemente contro la povertà crescente.

Il rapporto della Commissione invita i governi nazionali ad adottare politiche a sostegno dei redditi più deboli e delle famiglie e a non tagliare la spesa sociale. Infine la relazione indica che – al contrario di quanto spesso si pensa – chi riceve benefici – quando i sistemi di protezione sociale sono ben disegnati – ha più probabilità di trovare un lavoro di qualità rispetto a chi non ne riceve. Questo perché un sistema di sussidi ben congegnato incoraggia i disoccupati a cercare lavoro e, nel frattempo, li tutela a dovere e non li spinge ad accettare qualsiasi tipo di impiego. In paesi come la Polonia e la Bulgaria, rileva il rapporto, c’è una mancanza di adeguate reti di sicurezza a protezione dei disoccupati.

Capitolo a parte viene dedicato alle disparità fra uomini e donne: solo nei paesi nordici e nei paesi baltici, si sottolinea, una grande percentuale delle donne ha un buon impiego, un buon salario e lavora un numero di ore sufficienti. Nel resto dell’Europa invece, o le donne lavorano poche ore, o guadagnano in media meno degli uomini o hanno lavori di peggiore qualità, e spesso, come nel caso dell’Italia,  combinano tutte queste problematiche insieme. (Maurizio Molinari)

Da redattoresociale.it


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