Non li chiamerò “squadristi”, come fa Paolo Franchi sulla prima pagina del Corriere. Perché non vedo, o almeno non vedo ancora, poteri forti in grado di assoldarli, provocare il caos e imporre il loro ordine da caserma. Piuttosto mi sembrano stalinisti senza popolo. Come gli stalinisti manipolano la realtà, trasformano la propaganda in fanatismo, oscuri attivisti prima in delatori, poi in picchiatori in nome del capo, infine in dirigenti. Come al tempo di Stalin, si raccontano di essere accerchiati e sostengono che il fine vale ogni mezzo. Così fanno le loro prove nell’arte di infangare, di sputtanare, distruggere la reputazione innanzitutto dei loro stessi “compagni” -ora si dice “cittadini”- che dubitano della Verità e del Capo.
“Cortei e insulti, la Camera nel Caos”, dice il Corriere. “La guerra di Grillo”, sintetizza Repubblica. A Montecitorio hanno invaso i banchi del governo e minacciato la Boldrini, sequestrato le aule delle commissioni, impedendo persino a un deputato di opposizione di entrare e di votare. Un cittadino, regredito allo stadio della scimmia –ah, quanto ha ragione Civati quando parla di questione “maschile”- ha detto che le deputate sanno fare solo quella cosa là, abbassandosi all’altezza dei pantaloni per dare un po’ di sollievo a primati maschi come lui. Fuori dal Parlamento hanno chiamato gli italiani alla rivolta contro un Presidente della Repubblica, alla fine della sua onorata e rispettabile carriera. Attentato alla Costituzione: tradimento dei valori per i quali Napolitano ha speso una vita intera e sui quali ha giurato.
Poi corrono in televisione a fare le vittime: a Servizio Pubblico, una deputata denuncia lo spintone che uno sgradevole deputato questore di Scelta Civica ha dato a una sua collega per allontanarla dai banchi del governo. Da Lilli Gruber, un anziano cosiddetto ideologo ha paragonato la presente gazzarra con altre battaglie e altri ostruzionismi, parlamentari, contro il Patto Atlantico e la Legge Truffa. Col senno di poi il Patto Atlantico era, certo, un accordo militare e imperialista ma pur sempre il male minore rispetto a chi, come Praga nel 48, stava sotto il tallone della polizia staliniana. La legge truffa, nel 52 era meno maggioritaria di quella Mattarella del 93 e Calderoli del 2005. Anche l’Italia era diversa, oggi, disincantata, sfiduciata, ripiegata su se stessa, allora drammaticamente spaccata in due campi.
Non si erano sanate le ferite della guerra e già tanti fascisti rientravano nell’amministrazione e al vertice delle imprese. La chiesa bigotta scomunicava sindacalisti e braccianti, in lotta per migliori condizioni di vita e per il lavoro. In piazza la Celere a sirene spiegate contro i manifestanti o le cariche a Cavallo, come nel 60 a piazza San Paolo. No, Becchi. Il giornale di Gramsci, l’unità chiamava “forchettoni” taluni avversari, Pajetta pronunciava discorsi infuocati e ogni tanto saltava dal suo banco verso quelli di maggioranza, ma, tutto sommato, quello che si celebrava nell’emiciclo di Monte Citorio era un rito salvifico della democrazia. Si rappresentava la guerra civile in Parlamento perché non scoppiasse davvero la guerra civile nel Paese. Come ben sapevano i democristiani.
Qui e ora tutto è diverso. La rivolta è stata decisa a freddo, per salvare la faccia di Grillo e le ambizioni di Casaleggio. E nascondere l’incredibile incapacità politica di entrambi. Proprio sulla legge elettorale Grillo ha sprecato l’ultima occasione: avrebbe potuto dire “collegio uninominale” e “doppio turno”. Il collegio, per vedere in faccia chi si sta votando. Il doppio turno perché è l’unico sistema con cui anche il suo movimento potrebbe ambire a vincere e governare “senza mescolarsi”. Matteo Renzi non gli avrebbe detto no. Dopo tutto, la prima intervista l’aveva data al Fatto ed era una lettera a Grillo. Invece no: meglio spingere Renzi verso Berlusconi per poi gridare al golpe.
Quanto a Napolitano, la “colpa” del Presidente (in realtà, colpa di chi è andato a pregarlo di accettare un secondo mandato) è di aver voluto le larghe intese. Però, con la legge Renzi Berlusconi, criticabile quanto si vuole, una cosa è certa: non vedremo più larghe intese né governi tecnici. Ed è questo che terrorizza i “grillini”, perdere la rendita di posizione (soli, all’opposizione contro tutti) che proprio le larghe intese gli concedevano. Ecco l’attacco al Capo dello Stato e alle istituzioni. L’azzardo disperato di chi provoca, sperando che le larghe intese tornino. E con loro il senso di una protesta senza senso. Mi dispiace dirlo. Non chi ha votato M5S, né parecchi dei loro senatori, ma chi comanda là dentro è solo un prodotto di scarto del ventennio berlusconiano