La morte più dolorosa è stata sicuramente quella di Molhem Barakat che a neppure diciotto anni è morto davanti all’ospedale di Aleppo, la vigilia del nostro Natale, per documentare la grave crisi siriana. Ma il fotografo-ragazzino è soltanto l’ultima vittima di una rivolta che ha già fatto molti morti anche tra i reporter. Le cifre sono impressionanti. E riguardano soprattutto i locali, anche se mai sono avvenuti tanti sacrifici anche fra gli stranieri. Dal 2011, quando è cominciata la crisi, trasformatasi ben presto in una guerra civile, sono stati 67 i giornalisti uccisi (56 siriani, 11 stranieri). L’anno terribile è stato il 2012 con 37 vittime, due nel 2011 e 17 l’anno scorso. A queste cifre, già drammatiche, sono da aggiungere almeno una ventina di bloggers o citizen journalist che porta il numero totale sicuramente oltre i settanta. Se c’è certezza sulle vittime, molto più confusa è la situazione generale. Sicuramente nelle prigioni di Damasco ci sono almeno 45 reporter, di cui si conoscono nomi e cognomi. Alcuni sono prigionieri dall’inizio, cioè da più di due anni, quando si sono schierati apertamente contro il regime di Assad. Ci sono giornalisti, fotografi, assistenti e bloggers. Poi c’è il capitolo rapimenti. Come abbiamo già riportato, sono almeno 12 i reporter attualmente sequestrati, anche da molti mesi, fra cui due spagnoli, quattro francesi, due svedesi e una troupe araba di Sky (giornalista mauritana, cameraman libanese). Una realtà che conosciamo bene anche noi italiani avendo vissuto le disavventure di Ricucci e soprattutto di Quirico, in catene per cinque mesi. Protagonisti quei “marziani” citati dall’inviato de “La Stampa” probabilmente altrettanto “cattivi” di chi governa il Paese. Un fenomeno che non si limita ai giornalisti, come dimostrato dal rapimento recente di medici senza frontiere e – ormai da molto tempo – di un missionario coraggioso, padre Dall’Oglio, per il quale cresce l’angoscia soprattutto di noi italiani.