Nove milioni di processi bloccano la giustizia, cioè la legalità dell’Italia.
Un grumo di arretrati che paralizza la tutela dei diritti. Cioè, la dignità della cittadinanza.
Quando c’è un problema di queste proporzioni è da ingenui pensare al caso.
E infatti, se si ripercorrono le recenti modifiche peggiorative degli ultimi anni e una sostanziale inerzia migliorativa del sistema processuale, si scorge una precisa volontà politica di sabotare la legalità, operato dai delinquenti infiltrati nel potere politico, mai così numerosi come nelle ultime legislature di nominati.
Un conflitto d’interessi sulla legalità, dove i criminali orientano la politica verso la “complicazione” della giustizia, per renderla formale e innocua, al fine di poter operare nella certezza – disponendo di costosi avvocati – di tempi eterni, prescrizioni sicure o al massimo pene irrisorie.
Questa distorsione ha generato una (in)giustizia di censo: pene sovradimensionate verso reati “miseri” come uso di stupefacenti e clandestinità – solo ora in via di revisione – e pene virtuali nei confronti di reati “ricchi” di faccendieri ed evasori (la frode fiscale milionaria della Armellini – degna discepola di B. – non le costerà neanche un giorno di galera).
Cambiare la legge elettorale è una necessità strutturale della democrazia. Ma ripristinare la qualità della giustizia ne è la prima tutela. Perché senza legalità, la democrazia muore.
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