Si è aperto a Pechino in un clima di grande tensione il processo al dissidente Xu Zhinyong (nella foto), arrestato a luglio dopo aver denunciato lo scandalo dei paradisi fiscali che coinvolge tutto il governo cinese. Vietato con la forza l’ingresso all’udienza di tutta la stampa internazionale. Il corrispondente della Cnn, David McKenzie ha denunciato di essere stato aggredito, mentre la sua attrezzatura è stata distrutta. Malmenati anche Mark Stone di Sky e Martin Patience della Bbc. Oscurati i siti di numerosi giornali: Le Monde, El Pais, Sueddeutsche Zeitung , una censura che aveva già colpito nei giorni scorsi The Guardian, Reuters e Wall Street Journal che avevano avuto la colpa di aver riportato la notizia. In casa propria, cioè in Cina, va pure peggio: i direttori di due quotidiani liberi, Xiong Xiong e Yang Kairan, non solo sono stati censurati ma sono anche finiti in galera con l’accusa di corruzione. Secondo il nuovo presidente Xi Jinping avrebbero preso mazzette per sparlare del governo. Il Movimento dei Cittadini, guidato proprio da Xu, ha invece documentato la fuga di enormi capitali verso altri Paesi di manager spesso imparentati con le massime cariche dello Stato. E al processo non sono stati ammessi testimoni in grado di confermarlo.
Bisogna ricordare che la Cina è al 173 posto su 179 nella graduatoria della libertà di stampa. Basti pensare che sono addirittura 100 gli operatori dell’informazione attualmente in carcere: 30 sono giornalisti, 70 sono bloggers. Il presidente Xi ha una vera ossessione nel controllare i media, considerati nemici del Partito Comunista. A tal punto che una recente legge ha stabilito per tutti i nuovi reporter di studiare a fondo il marxismo. Non ci sono morti in Cina, ma tanti prigionieri.