Le milizie di Al-Shabaab impongono agli operatori delle ong e della agenzie tasse ingiustificate, divieti e persino la nomina di propri soldati nel coordinamento degli aiuti. Un rapporto svela i meccanismi di un controllo che rende un incubo il lavoro dei volontari
In esclusiva da News from Africa
NAIROBI – La Somalia devastata dalla guerra rimane il posto più pericoloso dove lavorare, e per i volontari è un incubo che non finisce mai. Le milizie di Al-Shabaab hanno complicato la situazione delle associazioni umanitarie, che devono pagare per ottenere una qualche forma di protezione che permetta loro di continuare ad operare nel paese.
Un rapporto congiunto dello Humanitarian Policy Group, con sede nel Regno Unito e dell’Heritage Institute of Policy Studies, rivela il sofisticato sistema di Al-Shabaab per il monitoraggio degli aiuti, le richieste a cui vengono sottoposte le agenzie umanitarie e le conseguenze delle negoziazioni fallite. Il rapporto – Parlare con l’altra parte: negoziazioni umanitarie con Al-Shabaab in Somalia – afferma che le agenzie umanitarie che lavorano nelle aree di Al-Shabaab sono costantemente minacciate di espulsione, con numerosi divieti giustificati sulla base del fatto che le agenzie avrebbero intrapreso delle attività di “spionaggio”. In particolare, Care ed International Medical Corps furono cacciati dalle aree sotto in controllo di Al-Shabaab dopo essere stati accusati di fornire informazioni agli Stati Uniti, che Al-Shabaab ritenne avessero portato all’uccisione del loro principale leader, Aden Hashi Ayro, a Dhusamarreeb.
“Allo stesso modo – afferma il rapporto -, Al-Shabaab ha proibito il Servizio anti-mine delle Nazioni Unite (Unmas). Al-Shabaab ha dichiarato che Unmas stava ‘ospitando segretamente ed intraprendendo il lavoro di organizzazioni proibite da Osafa, incluso il Programma di Sviluppo dell’Onu (Undp)”. E aggiunge: “Mentre proibiva la presenza di alcune organizzazioni, Al-Shabaab permetteva ad altre di lavorare – sebbene sotto regole e regolamenti sempre più restrittivi. Avendo chiare le conseguenze della disobbedienza, la minaccia dell’espulsione ha costretto le agenzie ad obbedire o ritirarsi, scelta quest’ultima che è stata vista da molti come inaccettabile data la portata dei bisogni umanitari”.
Secondo il rapporto, basato su più di 80 interviste con operatori umanitari, civili ed ex ufficiali della milizia, Al-Shabaab ha imposto 11 condizioni alle agenzie umanitarie rimanenti a Bay e Bakool, incluso il pagamento della registrazione e tasse sulla sicurezza fino a 20 mila dollari ogni sei mesi, la rimozione di tutti i loghi dai veicoli delle organizzazioni e il divieto di presenza di lavoratrici donne. Alcune agenzie hanno resistito.
Per rendere più efficace il controllo sulle organizzazioni umanitarie, Al-Shabaab ha tentato anche di nominare dei propri funzionari del coordinamento umanitario. Solitamente questi non venivano reclutati nelle file dei combattenti di Al-Shabaab, ma erano spesso individui del luogo che avevano mostrato un significativo supporto e lealtà a Al-Shabaab. Nel caso di Baidoa, un commerciante locale sostenitore di Al-Shabaab è stato nominato come coordinatore umanitario per la zona. Suo cugino, un comandante di Al-Shabaab di livello medio, lo ha inizialmente avvicinato per convincerlo ad intraprendere tale mansione.
Ci sono anche rapporti che affermano che Al-Shabaab abbia rifiutato di trattare direttamente con stranieri o persone di origini non somale durante le negoziazioni. I sospetti sulla lealtà di persone non somale potrebbero essere alla base di tale atteggiamento, ma ciò avrebbe anche permesso ad Al-Shabaab di fare pressione sui membri del personale locale, cosa che non sarebbe possibile con membri stranieri.
La tassazione delle agenzie umanitarie è solo una piccola parte di un più ampio sistema di tassazione, e la milizia ha numerose altre fonti di guadagno, la registrazione ed altre “tasse” imposte sulle agenzie, le tasse sui salari dei lavoratori umanitari locali, gli affitti delle proprietà, i costi dei trasporti ed altre attività legate agli aiuti.
La crisi umanitaria della Somalia è una delle più gravi e longeve al mondo, scaturita da due decenni di conflitto, siccità persistenti e povertà profondamente radicata. Su una popolazione di circa 10 milioni, ci sono 1,1 milioni di profughi interni e 3,8 milioni di persone che si ritiene abbiano bisogno dal 2012 di assistenza per sopravvivere o di alti tipi di aiuti fondamentali.
L’impegno della comunità internazionale in Somalia è stato segnato da una lunga storia di politicizzazione e di manovre diversive nei confronti delle associazioni umanitarie, il cui retaggio persiste tutt’oggi. Una persona di Baidoa racconta di aver visto Al-Shabaab distribuire cibo delle agenzie umanitarie, ma afferma che “ne hanno tenuto metà o forse due terzi per darlo ai propri combattenti”. Un’altra ha affermato che gli aiuti destinati a un’area venivano continuamente dirottati altrove, con gli ufficiali di Al-Shabaab che giustificavano tale dirottamento sulla base del fatto che essi sapevano “chi ne aveva veramente bisogno e chi no”.
“Ci sono stati degli scontri – conclude il rapporto – quando un’agenzia ha rifiutato di registrarsi o di pagare le tasse, e se veniva scoperto che un’organizzazione si era discostata dal programma concordato. Le infrazioni erano punibili con misure che potevano arrivare ad esecuzioni, interdizione delle organizzazioni, reclusione e multe”. (Traduzione di Sara Marilungo)