La matematica, si sa, non è un opinione. La storia, talvolta, può esserlo. Mentre la prima ha a che fare con inconfutabili numeri, la seconda viene scritta da vincitori tendenziosi e da fatti interpretabili. L’esercizio della memoria storica, imprescindibile, diviene così un’arma a doppio taglio. Un taglio molto pericoloso.
È quello che è avvenuto nei confronti della mafia negli ultimi decenni. Mentre in precedenza un velo impietoso di omertà ha coperto ogni rifermento sui mezzi di comunicazione e per strada, oggi è argomento quotidiano. Le storie di magistrati e imprenditori uccisi e associazioni intimidite, ha squarciato quel velo di omertà con eroi ed esempi da ammirare. Ma parallelamente alle loro storie sono divenute celebri quelle dei loro aguzzini.
Libri, fiction e film, ricostruzioni di fatti realmente accaduti, mostrano inconfutabilmente i crimini imperdonabili dei mafiosi. Ma le libere interpretazioni degli autori rischiano di creare falsi miti e una pericolosa iconografia positiva degli stessi.
Il codice d’onore mafioso, il divieto di uccidere donne e bambini, i riti di iniziazione, mafia nata come rivolta contro lo Stato impostore. Un lunghissimo elenco, in cui realtà e fantasia si confondono, solleticando il gusto per il macabro e legittimando improbabili rivendicazioni contro le istituzioni. Paolo Borsellino, come testamento morale, raccomandò di parlare di mafia, in televisione, sui giornali, alla radio, ma di parlarne.
Il punto è il come se ne parla, da cittadini non possiamo permetterci il rischio di fraintendere la realtà. L’unico modo è raccontare e non interpretare, i fatti, i quali parlano chiaro. Perché non c’è onore nel chiedere ogni mese il pizzo ai commercianti, né tanto meno nel trafficare armi e droga. L’unica rivolta contro le istituzioni è stata quella contro la parte incorruttibile di queste ultime, in altri casi purtroppo la collusione è evidente.
La mafia ha ucciso Francesca Morvillo, Lea Garofalo. Ha sciolto nell’acido Giuseppe Di Matteo, un ragazzino di 14 anni, colpevole di essere figlio di un collaboratore di giustizia.
L’ultimo fatto a parlare chiaro è l’omicidio del piccolo Nicola Campolongo, Cocò, ucciso a soli 3 anni qualche giorno fa a Cassano Allo Jonio.
Sono queste le storie che vanno raccontate, perché sono fatti inconfutabili da inserire nella memoria collettiva e non nelle opinioni di qualcuno.