L’ottavo messaggio di fine anno del Presidente Napolitano (quello che nessuno dei suoi predecessori ha mai pronunciato) si muove tra continuità e discontinuità. La discontinuità rispetto ai messaggi del precedente settennato sembra emergere dalla ricerca di un approccio meno formale, più a diretto contatto con i cittadini. In quest’ottica, cambia parzialmente lo scenario, con l’abbandono della scrivania presidenziale, rimasta sullo sfondo, mentre il Presidente siede a capo di un tavolo, pur senza raggiungere la colloquiale poltrona talvolta utilizzata dal Presidente Scalfaro. Soprattutto, però, i primi interlocutori sono singoli cittadini, individuati per nome e provenienza geografica, attraverso i quali si toccano alcuni punti della crisi economica rispetto alla quale si invoca la necessità di concrete risposte. Che richiedono «lungimiranti e continuative scelte di governo». Il Presidente torna quindi su uno dei temi a lui particolarmente cari: la stabilità governativa.
Si entra così nella seconda parte del discorso, quella più istituzionale, che si svolge, invece, in continuità con il passato e soprattutto con quello più recente. Con gli ultimi otto mesi, in particolare. Quelli, cioè, del secondo mandato presidenziale. In questa parte il Presidente riprende, sviluppa e – direi – “fissa” davanti alla vasta platea dei telespettatori di San Silvestro i termini del suo secondo mandato. Che nasce – dice – di fronte alla «pressione» di forze politiche «diverse ed opposte» cui ritenne di non potersi sottrarre a fronte del rischio di una «paralisi istituzionale», di «un vuoto di Governo e di un vuoto al vertice dello Stato». Sull’entità di questi rischi e sulle strade che potevano essere intraprese per superarli esistono – si sa – opinioni diverse, non tutti condividendo l’assunto per cui non c’erano alternative al percorso che alla fine decisero di intraprendere PD, PdL e Scelta civica. Che oggi o hanno cambiato leadership o addirittura non esistono più (collocandosi in parte – con Forza Italia – fuori dalla maggioranza). Tuttavia, il Presidente difende, ed anzi ribadisce, la linea di aprile, poggiandola sulle medesime basi: serviva – e serve ancora (e per molto, pare) – un Governo che prenda provvedimenti in materia economica e, soprattutto, accompagni (ed eventualmente promuova) le riforme costituzionali ed elettorali. Perché queste – lo si è detto più volte – sono il vero architrave delle larghe intese, consentendo a queste ultime una certa lunghezza.
Il Presidente non evidenziato, però, che proprio perché quella maggioranza non esiste più (soprattutto perché privata della gran parte del PdL che è oggi Forza Italia) questa legislatura, dal punto di vista delle riforme costituzionali, ha già incassato una sonora sconfitta. Infatti, il percorso che la (vecchia) maggioranza aveva immaginato – con la modifica dell’art. 138 e l’affidamento al “Comitato dei quaranta” della proposta di revisione dell’intera parte seconda della Costituzione – è già naufragato. E ora si torna a parlare di riforme costituzionali con le procedure «originarie» (così ha detto il Presidente nell’unico brevissimo inciso sul punto), cioè quelle che ci sono sempre state e con cui si sarebbero già potute fare alcune (magari limitate) riforme, a partire da quelle volte a migliorare la funzionalità del Parlamento (su cui il Presidente si è particolarmente soffermato anche ala luce della svilente esperienza del c.d. “salva-Roma” che alla fine aveva salvato un po’ tutto, tranne la faccia).
Quanto alla riforma elettorale, essa è certo «indispensabile e urgente», come ha detto il Presidente, ma non da ora. Questo Parlamento – non avendolo fatto i precedenti – avrebbe dovuto procedervi sin dall’inizio della legislatura, quando invece si era tentato di rinviarla a dopo le riforme costituzionali, che avrebbero richiesto almeno diciotto mesi. Ma anche quando in agosto si è deciso di procedere comunque, intanto, ad una riforma della legge elettorale, il Senato ha mostrato tutta la sua incapacità di arrivare ad una soluzione, fino al punto di arrendersi, all’inizio di dicembre, passando la questione alla Camera dei deputati, dove la riforma approda, tuttavia, senza che vi sia ancora un’idea precisa da parte delle maggiori forze politiche. Anche su questo punto – certamente di più stringente urgenza del precedente – la situazione è quindi ancora di fatto quella di inizio legislatura, per quanto più logorata.
Rispetto allo schema di aprile, e al percorso che ne conseguiva, quindi, ci sono stati mutamenti politici e pesanti fallimenti di cui forse si sarebbe potuto dare maggiormente atto, anche per richiamare l’attenzione di chi deve compiere le scelte di merito (da cui il Presidente giustamente ricorda di doversi astenere) sul fatto che il tempo non può essere fatto ripartire ogni volta da zero. Ma questo probabilmente non accadrà più soltanto quando avremo una nuova legge elettorale. Che infatti continua a essere rinviata.