Quando qualche giorno fa le agenzie di stampa hanno battuto la notizia del nuovo arresto di monsignor Scarano e dei suoi collaboratori ho rivisto come in un film tragico la storia incredibile dell’Istituto delle Opere Religiose (IOR) del Vaticano che ha attraversato una parte ampia della storia d’Italia (prima origine nel 1887, poi fondazione dell’Istituto nel 1942 quando la dittatura fascista è vicina al crollo) e ha percorso tutta la storia repubblicana superando con grande facilità governi e pontificati molto diversi tra loro fino ad approdare a una grandezza finanziaria che soltanto negli ultimi anni ha corso qualche pericolo. E conforta, ma non è un caso, che il giudice, incaricato oggi della vicenda, senta il bisogno di dichiarare che la Santa Sede collabora appieno con l’inchiesta dei magistrati: viene da dire che la presenza di papa Francesco è una garanzia di questo mutato atteggiamento del Vaticano di fronte alla scoperta da parte dei giudici del grande gioco condotto per nascondere una verità ormai palese.
Lo Ior è diventato, da quando venne fondato nei tempi difficili della seconda guerra mondiale, una grande banca d’affari internazionale. O, come hanno scritto qualche mese fa, i pubblici ministeri, “un sistema off shore nel cuore geografico dell’Italia e della sua capitale, libero da ogni vincolo di trasparenza, protetto dall’impenetrabile segreto vaticano ma, soprattutto, strutturalmente tarato per consentire gigantesche operazioni di riciclaggio.” “Lo IOR – avevano già scritto i pubblici ministeri – intratteneva diversi conti correnti con banche operanti in territorio italiano, considerati tutti, dal punto di vista formale, di “corrispondenza”. E ancora, per spiegare la gigantesca operazione di truffa e riciclaggio di denaro di illecita provenienza, i magistrati rilevano che si registravano da un lato operazioni riconducibili esclusivamente ai clienti dello IOR ma dall’altro su quegli stessi conti confluivano rimesse di contanti, assegni circolari e bancari, ordini di versamento, giri di fondi e altre operazioni che costituivano provviste destinate a rimanere su quei conti a tempo indeterminato, a discapito cioè di quella provvisorietà che dovrebbe caratterizzare i conti di corrispondenza. E ancora si dice che “alla confusione globale di fondi di diversa natura e provenienza depositati sui conti IOR va aggiunta la circostanza che i clienti IOR beneficiari dei depositi, sui conti di corrispondenza e degli assegni non venivano identificati da parte dell’intermediario bancario italiano presso cui erano accesi i costi di corrispondenza. Con un effetto: l’elevato rischio che il modo di procedere dello IOR potesse essere utilizzato (e probabilmen- te lo era) come schermo, come canale, da parte dei suoi correntisti, per mascherare operazioni di riciclaggio. Ed è qui che emergono le tredici operazioni di riciclaggio contestate all’ex direttore generale Paolo Cipriani e al suo ex vice direttore Massimo Tulli. Ed è qui che si colloca l’opera assidua di mons. Scarano,investito di compiti importanti in molte delle maggiori operazioni condotte negli ultimi decenni dallo IOR. Da questo punto di vista colpisce, da una parte, la speranza ormai maturata con l’ascesa al soglio pontificio del cardinale Bergoglio che si possa arrivare, nei prossimi tempi, a una riforma o profonda trasformazione di un istituto che costituisce oggettivamente uno scandalo da ogni punto di vista per la Santa Sede e quindi anche nei rapporti con lo Stato italiano. Dall’altra, il fatto che – con tutta evidenza – le associazioni mafiose sono state con ogni probabilità presenti e attive nella gigantesca operazione di truffa e di riciclaggio di milioni di euro illecitamente acquisiti.
In questo senso i novanta arresti di camorristi di cui oggi abbiamo notizia proprio nel triangolo delle città di Napoli, Roma e Firenze confermano per certi aspetti l’ascesa delle associazioni mafiose italiane (tra loro peraltro ben collegate) in campo finanziario e ancora una volta sottolineano la scarsa efficacia di una lotta contro le organizzazioni mafiose che non accompagna alla necessaria attività repressiva anche un lavoro assiduo di educazione civile e di mobilitazione dei cittadini che potrebbero collaborare, se adeguatamente informati e stimolati.