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Letta, Renzi e la collaborazione impossibile

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A seconda di come la pensino, se siano orientati a favore del governo o abbiano abbracciato a trecentosessanta gradi l’annunciata “nuova era” renziana, i mezzi d’informazione raccontano da mesi, a modo loro, le innumerevoli scaramucce fra il “ragazzo prodigio” ormai maturo (Letta) e il rampante neo-segretario del Partito Democratico. Così, se su “l’Unità”, quotidiano storicamente vicino all’ala bersaniana del PD, venerdì i due erano “ai ferri corti”, su “La Stampa” erano in corso “prove di disgelo”. La verità, a nostro giudizio, è un’altra e l’ha ben descritta Marco Damilano in un articolo pubblicato, sempre venerdì scorso, su “L’espresso” e intitolato: “Io sono più leader di te”. Dopo aver messo in evidenza i numerosi punti in comune fra le due speranze del centrosinistra, infatti, l’esperto Damilano ha colto nel segno con un’analisi delle sue: Letta e Renzi sono “due politici al tornante decisivo della loro carriera”.

Per questo, benché Renzi abbia capito, anche grazie all’attiva “moral suasion” di Napolitano, che far precipitare la situazione e spingere il Paese alle urne in primavera sarebbe una catastrofe, non ha certo rinunciato a punzecchiare il governo ogni volta che gli si presenti l’occasione. E poiché questo bizzarro governo non è certo esente da colpe (basti pensare ad alcuni recenti scivoloni, primo fra tutti la disputa fra la Carrozza e Saccomanni sulla restituzione dei soldi da parte dei docenti), Renzi ha buon gioco nel recitare due parti opposte in commedia: se da un lato si presenta come il segretario leale e ricco di idee del primo partito del Paese, nonché azionista di maggioranza dell’esecutivo, dall’altro ha tutto l’interesse a presentarsi come un oppositore strenuo di ogni misura impopolare, ben sapendo che in questo modo la fiducia nei suoi confronti crescerà ulteriormente e quella nei confronti del Premier calerà quel tanto che basta a porlo in una condizione di vantaggio in vista dello scontro finale del prossimo autunno. Perché oramai è chiara anche la strategia della sinistra del PD: le dimissioni di Fassina dall’esecutivo, oltre a porre un giusto problema politico e a inviare a Renzi un messaggio forte e chiaro circa la natura del suo ruolo e il rispetto che deve agli oppositori interni se non vuole condurre il partito a una devastante lacerazione, avranno quasi sicuramente come conseguenza quella di riorganizzare l’ala vicina all’ex segretario e alla CGIL e costruire la candidatura dell’unica figura attualmente in grado di insidiare la leadership di Renzi, ossia proprio Letta.

Senza contare che i due hanno caratteri troppo diversi e incompatibili per andare d’accordo, se non a livello puramente formale, più per necessità che per convinzione, viste anche le ultime accuse che il Segretario ha rivolto al Premier, accusandolo, di fatto, di dovere una parte della propria carriera alla cooptazione dalemiana al governo. Per questo, più che di collaborazione, crediamo sia più opportuno parlare di reciproca “sopportazione”, a malincuore, in vista di una probabile sfida alle Primarie per la premiership nel prossimo autunno.

E qui subentrano alcune considerazioni di natura squisitamente personale. Per quanto Renzi stia manifestando in ogni modo il suo dinamismo e la sua capacità di dettare l’agenda politica, non c’è dubbio che il suo profilo di statista sia ancora piuttosto acerbo, specie sul piano internazionale, mentre Letta, oltre ad avere acquisito l’esperienza necessaria per navigare in qualunque tempesta, ha indubbiamente dalla sua una caratura culturale e valoriale che può rappresentare quel salto di qualità che alla sinistra, finora, nei momenti decisivi è sempre mancato.

E c’entra poco la gioventù, la freschezza di idee e la capacità di esprimersi con un linguaggio meno ingessato e più comprensibile anche per i non addetti ai lavori: c’entra, più che mai, la saggia trasversalità che Letta ha saputo incarnare in anni di incontri e iniziative, promuovendo associazioni aperte al contributo di tutti e affidandosi alla virtù del pensiero nonostante andasse, e continui tuttora ad andare, di moda la semplificazione dei linguaggi, dei messaggi e delle proposte, fino a scadere nella banalità, nel populismo, nel qualunquismo e in una demagogia spicciola, inutile e dannosa. Semmai, dunque, c’entra la maturità, acquisita da Enrico in anni di studi e analisi, approfondimenti e riunioni al vertice, contatti con la base e confronti con gli innumerevoli settori che compongono il tessuto sociale, culturale e industriale di questo Paese.

Per non parlare poi della sua saggezza, tutta democristiana, nel mediare, nello smussare gli angoli, nel preferire il garbo e la cortesia all’urlo, nel contrastare con forza gli avversari senza mai considerarli nemici: caratteristiche che lo rendono senz’altro più affidabile agli occhi di quell’elettorato, storicamente considerato “moderato”, che spesso è stato ostile al centrosinistra ma che la prossima volta, di fronte alla deriva semi-grillina di Berlusconi e all’indeterminatezza del Nuovo Centrodestra di Alfano, potrebbe prendere in considerazione l’idea di concedere un’apertura di credito a un uomo che magari non ha esattamente le loro idee ma è considerato comunque uno dei pochi in grado di far ripartire veramente l’Italia.

Infine, c’è un discorso che ben si concilia con i temi cari ad Articolo 21, ossia quello dei diritti e della libertà d’informazione. Letta, difatti, in questi mesi si è battuto spesso contro la volgarità grillina all’indirizzo di giornalisti dalle idee politiche più disparate, ha nominato ministra la Kyenge non certo per ragioni ornamentali o di facciata e si è schierato nettamente a favore dello Ius soli e di politiche sull’immigrazione in linea con il miglior pensiero cattolico, fondato sull’accoglienza e sul rispetto del prossimo.

In poche parole, è assai più di sinistra di quanto non sembri e di quanto non lo faccia sembrare questo governo mentre Renzi è, quanto meno, un tardo-blairiano, dunque tendenzialmente vicino al pensiero liberista e, nei fatti, poco in sintonia con chi rivendica fino in fondo la centralità di temi quali la dignità della persona, le tutele, i diritti e le garanzie dei lavoratori. Non a caso, Letta è stato per anni uno dei più stretti amici e collaboratori di Bersani mentre Renzi si è mostrato spesso in linea con il programma economico e giuslavoristico del professor Ichino.

Sarebbe, quindi un errore, secondo noi, “rottamare” una figura meno dinamica ma più fattiva e capace di aggregare un vasto mondo di forze sociali e culturali in favore di un personaggio indubbiamente rampante ma di cui pochi, al momento, si fidano pienamente.  Il che significa che il centrosinistra, nei prossimi mesi, dovrà stare molto attento, perché, se dovesse sbagliare ancora, questo potrebbe rivelarsi l’errore fatale: in caso di sconfitta delle forze progressiste, infatti, l’Italia finirebbe nelle mani di chi, da sempre, persegue unicamente la logica dello sfascio; e questo, in Europa e nel mondo, nessuno sarebbe disposto a perdonarcelo.

etta, Renzi e la collaborazione impossibile

A seconda di come la pensino, se siano orientati a favore del governo o abbiano abbracciato a trecentosessanta gradi l’annunciata “nuova era” renziana, i mezzi d’informazione raccontano da mesi, a modo loro, le innumerevoli scaramucce fra il “ragazzo prodigio” ormai maturo (Letta) e il rampante neo-segretario del Partito Democratico. Così, se su “l’Unità”, quotidiano storicamente vicino all’ala bersaniana del PD, venerdì i due erano “ai ferri corti”, su “La Stampa” erano in corso “prove di disgelo”.

La verità, a nostro giudizio, è un’altra e l’ha ben descritta Marco Damilano in un articolo pubblicato, sempre venerdì scorso, su “L’espresso” e intitolato: “Io sono più leader di te”. Dopo aver messo in evidenza i numerosi punti in comune fra le due speranze del centrosinistra, infatti, l’esperto Damilano ha colto nel segno con un’analisi delle sue: Letta e Renzi sono “due politici al tornante decisivo della loro carriera”.

Per questo, benché Renzi abbia capito, anche grazie all’attiva “moral suasion” di Napolitano, che far precipitare la situazione e spingere il Paese alle urne in primavera sarebbe una catastrofe, non ha certo rinunciato a punzecchiare il governo ogni volta che gli si presenti l’occasione. E poiché questo bizzarro governo non è certo esente da colpe (basti pensare ad alcuni recenti scivoloni, primo fra tutti la disputa fra la Carrozza e Saccomanni sulla restituzione dei soldi da parte dei docenti), Renzi ha buon gioco nel recitare due parti opposte in commedia: se da un lato si presenta come il segretario leale e ricco di idee del primo partito del Paese, nonché azionista di maggioranza dell’esecutivo, dall’altro ha tutto l’interesse a presentarsi come un oppositore strenuo di ogni misura impopolare, ben sapendo che in questo modo la fiducia nei suoi confronti crescerà ulteriormente e quella nei confronti del Premier calerà quel tanto che basta a porlo in una condizione di vantaggio in vista dello scontro finale del prossimo autunno.

Perché oramai è chiara anche la strategia della sinistra del PD: le dimissioni di Fassina dall’esecutivo, oltre a porre un giusto problema politico e a inviare a Renzi un messaggio forte e chiaro circa la natura del suo ruolo e il rispetto che deve agli oppositori interni se non vuole condurre il partito a una devastante lacerazione, avranno quasi sicuramente come conseguenza quella di riorganizzare l’ala vicina all’ex segretario e alla CGIL e costruire la candidatura dell’unica figura attualmente in grado di insidiare la leadership di Renzi, ossia proprio Letta.

Senza contare che i due hanno caratteri troppo diversi e incompatibili per andare d’accordo, se non a livello puramente formale, più per necessità che per convinzione, viste anche le ultime accuse che il Segretario ha rivolto al Premier, accusandolo, di fatto, di dovere una parte della propria carriera alla cooptazione dalemiana al governo.

Per questo, più che di collaborazione, crediamo sia più opportuno parlare di reciproca “sopportazione”, a malincuore, in vista di una probabile sfida alle Primarie per la premiership nel prossimo autunno.

E qui subentrano alcune considerazioni di natura squisitamente personale. Per quanto Renzi stia manifestando in ogni modo il suo dinamismo e la sua capacità di dettare l’agenda politica, non c’è dubbio che il suo profilo di statista sia ancora piuttosto acerbo, specie sul piano internazionale, mentre Letta, oltre ad avere acquisito l’esperienza necessaria per navigare in qualunque tempesta, ha indubbiamente dalla sua una caratura culturale e valoriale che può rappresentare quel salto di qualità che alla sinistra, finora, nei momenti decisivi è sempre mancato.

E c’entra poco la gioventù, la freschezza di idee e la capacità di esprimersi con un linguaggio meno ingessato e più comprensibile anche per i non addetti ai lavori: c’entra, più che mai, la saggia trasversalità che Letta ha saputo incarnare in anni di incontri e iniziative, promuovendo associazioni aperte al contributo di tutti e affidandosi alla virtù del pensiero nonostante andasse, e continui tuttora ad andare, di moda la semplificazione dei linguaggi, dei messaggi e delle proposte, fino a scadere nella banalità, nel populismo, nel qualunquismo e in una demagogia spicciola, inutile e dannosa.

Semmai, dunque, c’entra la maturità, acquisita da Enrico in anni di studi e analisi, approfondimenti e riunioni al vertice, contatti con la base e confronti con gli innumerevoli settori che compongono il tessuto sociale, culturale e industriale di questo Paese.

Per non parlare poi della sua saggezza, tutta democristiana, nel mediare, nello smussare gli angoli, nel preferire il garbo e la cortesia all’urlo, nel contrastare con forza gli avversari senza mai considerarli nemici: caratteristiche che lo rendono senz’altro più affidabile agli occhi di quell’elettorato, storicamente considerato “moderato”, che spesso è stato ostile al centrosinistra ma che la prossima volta, di fronte alla deriva semi-grillina di Berlusconi e all’indeterminatezza del Nuovo Centrodestra di Alfano, potrebbe prendere in considerazione l’idea di concedere un’apertura di credito a un uomo che magari non ha esattamente le loro idee ma è considerato comunque uno dei pochi in grado di far ripartire veramente l’Italia.

Infine, c’è un discorso che ben si concilia con i temi cari ad Articolo 21, ossia quello dei diritti e della libertà d’informazione. Letta, difatti, in questi mesi si è battuto spesso contro la volgarità grillina all’indirizzo di giornalisti dalle idee politiche più disparate, ha nominato ministra la Kyenge non certo per ragioni ornamentali o di facciata e si è schierato nettamente a favore dello Ius soli e di politiche sull’immigrazione in linea con il miglior pensiero cattolico, fondato sull’accoglienza e sul rispetto del prossimo.

In poche parole, è assai più di sinistra di quanto non sembri e di quanto non lo faccia sembrare questo governo mentre Renzi è, quanto meno, un tardo-blairiano, dunque tendenzialmente vicino al pensiero liberista e, nei fatti, poco in sintonia con chi rivendica fino in fondo la centralità di temi quali la dignità della persona, le tutele, i diritti e le garanzie dei lavoratori.

Non a caso, Letta è stato per anni uno dei più stretti amici e collaboratori di Bersani mentre Renzi si è mostrato spesso in linea con il programma economico e giuslavoristico del professor Ichino.

Sarebbe, quindi un errore, secondo noi, “rottamare” una figura meno dinamica ma più fattiva e capace di aggregare un vasto mondo di forze sociali e culturali in favore di un personaggio indubbiamente rampante ma di cui pochi, al momento, si fidano pienamente.

Il che significa che il centrosinistra, nei prossimi mesi, dovrà stare molto attento, perché, se dovesse sbagliare ancora, questo potrebbe rivelarsi l’errore fatale: in caso di sconfitta delle forze progressiste, infatti, l’Italia finirebbe nelle mani di chi, da sempre, persegue unicamente la logica dello sfascio; e questo, in Europa e nel mondo, nessuno sarebbe disposto a perdonarcelo.


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