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Le decisioni controverse di Catricalà

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Per chiedere le dimissioni del ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, Deborah Seracchiani ha sicuramente alcune buone ragioni, non solo come membro della segreteria del Pd ma anche come presidente della Regione Friuli Venezia Giulia. E tuttavia mi permetto di segnalarle che avrebbe ancor più ragioni se chiedesse anche la sostituzione del vice ministro Antonio Catricalà. Non tanto e non solo perché indicato da Gianni Letta e notoriamente vicino alle sensibilità di Mediaset, quanto per il modo contraddittorio e in molte occasioni negativo con cui sta gestendo tutta la vicenda del settore delle Comunicazioni di cui gli è stata delegata la responsabilità. Ora si dà il caso che l’ex ministero delle Comunicazioni accorpato a quello dello Sviluppo abbia dei compiti strategici per la crescita di tutta l’economia italiana, non solo digitale, e dei doveri urgenti per il futuro immediato di un’azienda – la Rai – che potrebbe svolgere un ruolo decisivo proprio nel mercato dell’audiovisivo. Ebbene ecco alcune delle decisioni più controverse, se non del tutto sbagliate, prese dal vice ministro.

Primo. Che bisogno c’era di nominare come capo della sua segreteria un uomo – l’avvocato Stefano Selli – che è noto per essere stato uno dei bracci destri dell’ex ministro Paolo Romani, oggi capogruppo di Forza Italia al Senato? E’ vero che intende nominarlo vice segretario generale del Ministero quando verrà emanato il decreto, già pronto, che ne prevede la riorganizzazione?

Secondo. Che fine ha fatto l’assegnazione delle frequenze legate alla famosa beauty contest? Il vice ministro ha volutamente rallentato i tempi dell’asta delle frequenze destinate ai nuovi entranti sul mercato televisivo, arrivando perfino ad argomentare che non è il momento adatto. Già! Forse per qualcuno – Mediaset? – non è mai il momento adatto quello di vedere arrivare concorrenti.

Terzo. Spero che la Vigilanza bocci nel suo parere (sia pure consultivo) la proposta inserita da Catricalà nel nuovo contratto di servizio di segnalare con un bollino blu o qualcosa di simile “i programmi di servizio pubblico”, come se l’intrattenimento, per esempio, non facesse parte dei doveri anche della Rai. Insomma ha gestito il dossier del rinnovo del contratto di servizio per la Rai in un modo tale che ha finito per dare l’impressione che l’obiettivo reale fosse quello di destrutturare il servizio pubblico. Se poi si ricorda che l’ex direttore generale Masi – altro uomo vicino a Mediaset – ha proposto per la Rai il modello Nuova Zelanda, dove i soldi del canone confluiscono in un fondo e vengono ridistribuiti a tutti quegli operatori tv che fanno “programmi da servizio pubblico”, ecco che l’idea stessa di una Rai del futuro da trasformare da broadcaster in “media company” va a farsi benedire.

Quarto. Ha dichiarato che l’azienda Rai non ha più alcun valore economico – ecco perché non sarebbe il caso di metterla in vendita adesso! E questo perché il 6 maggio 2016 decade la Concessione di servizio pubblico Stato-Rai, e la legge Gasparri non prevede volutamente alcuna procedura di rinnovo. Ebbene, invece di proporre urgentemente soluzioni a questo problema, nell’interesse del Tesoro che è il proprietario, Catricalà finisce per mettere in fibrillazione i conti della Rai che ad oggi non può pianificare le proprie attività oltre il 2015, avvantaggiando di fatto i concorrenti Mediaset e Sky. Con in più l’handicap di un canone congelato.

Quinto. Che decisioni ha preso il vice ministro per il rilancio di un settore quello dell’audiovisivo che è strategico per l’immagine del Paese oltre che per la crescita economica e che ha enormi potenzialità, quando invece in Italia al momento è uno dei più penalizzati dalla mancanza di una politica industriale e di una visione strategica a breve e a medio termine? Bastino due dati a far capire il dramma della situazione. L’Italia, infatti, è “il meridione dei media”: ci sono pochi soldi (circa una decina di miliardi) e quel che è peggio questi soldi sono spesi male. Al punto che si può davvero parlare di sottosviluppo, visto che per ogni milione di euro di fatturato ci sono 4,7 addetti, quando in Francia sono 6 e in Gran Bretagna sono 8.

Insomma se non sarà la presidente Serracchiani a farsi carico di insistere per sostituire oltre a Zanonato anche Catricalà, vista l’importanza strategica del settore sarebbe bene che il premier Enrico Letta (anche facendo un dispiacere allo zio Gianni) e il segretario decisionista Matteo Renzi, battessero un colpo. Non si vuole rilanciare l’economia? E non è forse questo il momento per una nuova legge di riforma della Rai, a cominciare dalla governance?

* da l’Unità


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