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La democrazia di chi comanda

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Ha la faccia giovane, ma il cuore vecchio. Eppure agli italiani piace, perché è il “salvatore della patria”, l’ennesimo a cui si affidano gli elettori di un Paese che non riesce a promuovere molte idee (anzi a tratti ne sembra quasi allergico), ma solo a esprimere infatuazioni per chiunque sappia vendersi bene e mostrare un po’ di carattere in più rispetto alla pochezza degli oppositori. Il primo atto politico di Renzi è l’imposizione di una linea che conduca alla realizzazione e approvazione della nuova legge elettorale, per rimpiazzare quella che da anni tiene in ostaggio la libertà di scelta dei cittadini e che è stata bocciata di recente dalla Consulta. Per riuscire nel suo intento, il sindaco di Firenze non ha badato alla morale né al buon senso.

Non ha resistito, il prode Matteo, al desiderio di incontrare nuovamente il Caimano, con cui, difficile essere smentiti, c’è un rapporto di stima reciproca. Questa volta lo scenario è stato un po’ diverso dalla lieta cena di Arcore di qualche anno fa, ma è differente anche la condizione dell’interlocutore, il quale, sebbene in tanti facciano finta di nulla, non è un parlamentare o un leader politico, né un segretario, bensì un pregiudicato, condannato in via definitiva e in attesa dell’affidamento ai servizi sociali. Silvio Berlusconi deve scontare una pena di un anno (gli altri tre sono stati cancellati per indulto), ha ancora procedimenti in corso dei quali si attendono gli esiti, è l’uomo che ha giocato con le istituzioni democratiche, uno dei protagonisti principali, sicuramente quello con maggiori responsabilità, del decadimento politico e culturale italiano degli ultimi venti anni.

Eppure il neosegretario del Pd lo legittima, lo riabilita pubblicamente, ergendolo a elemento decisivo del “cambiamento”. Si chiede a lui il consenso, l’accordo per una legge elettorale che soddisfi entrambi: un sindaco e un pregiudicato. Due figure, di solito, inconciliabili, sebbene nella storia d’Italia, passata e recentissima, ci siano centinaia di esempi di senso opposto. Alla fine, si comunica con entusiasmo di aver trovato “piena sintonia” con Forza Italia, il partito-azienda del Caimano. Bisognava parlarci, pensa Renzi, perché anche se non ha incarichi istituzionali (non può averne, vista la sua posizione giudiziaria) è pur sempre il leader della forza più grande del centro-destra. Insomma, è un po’ come se prima di effettuare un intervento delicato su un paziente, un chirurgo chieda un consulto decisivo ad un falso medico del suo reparto, che poco tempo prima è stato smascherato, arrestato e condannato. Siamo nell’assurdo. O meglio, siamo in Italia. Ciascuno provi a trovarvi delle differenze. Ha ragione Rodotà quando afferma che “per chi è cittadino del Paese e ritiene che ci sia da ricostruire un’etica pubblica e civile, abbiamo perduto tutta la memoria se non ricordiamo che Silvio Berlusconi è stato condannato ad agosto e che solo da poche settimane è stato dichiarato decaduto da senatore”.

Ma ciò che rende ancora più squallida la vicenda, è la proposta partorita dalla sintonia dei due illustri “innovatori”. Il sistema elettorale scelto è un proporzionale con un ampio premio di maggioranza, previsione del doppio turno (ballottaggio tra le prime due coalizioni) per l’assegnazione del premio di maggioranza in caso di mancato raggiungimento della quota del 35% da parte di una coalizione. Inoltre, sbarramento all’8% per i partiti che si presentano fuori da alleanze e al 5% per i partiti che invece appartengono a una coalizione (al 12% invece la soglia prevista per la coalizione). Una scelta in nome della governabilità, dicono. Per dare più stabilità al Paese e maggioranze ampie a chi governa. Ma davvero per avere maggiore stabilità bisogna creare meccanismi che determinano maggioranze bulgare? Non è stato così già con il porcellum nel 2001, quando il centro-destra ha avuto i numeri per distruggere serenamente il Paese? E se non ci fosse stata una forza piccola come l’Idv, con tutti i difetti che vi si possono rintracciare, quante cose sarebbero passate in assoluto silenzio?

Quante dannose convergenze, quanti trasversalismi sarebbero rimasti sepolti e sconosciuti? Il potere di veto dei piccoli, tra l’altro, non è comunque escluso dal modello pensato da Renzi, perché le divisioni, le correnti, i gruppi di potere si annidano anche dentro le coalizioni e dentro i partiti (e gli esempi sarebbero numerosi) e bloccano allo stesso modo, creando instabilità. Fermo restando, ma è opinione del tutto personale, che è sempre preferibile l’instabilità farcita di duro confronto sui temi, rispetto a una maggioranza bulgara che decide sulle grandi questioni senza dare spazio alle opzioni delle opposizioni che vivono dentro e fuori dal parlamento. Lo abbiamo visto con il governo Berlusconi, che si è macchiato delle peggiori nefandezze e che, su tanti temi, ha seguito i diktat di un partito/alleato di dimensioni minori come la Lega. Al di là di questo, c’è un altro punto imbarazzante, che è il segno dell’assoluto schema conservatore che anima Renzi e i suoi sostenitori: la permanenza delle liste bloccate.

Nessuna preferenza, esattamente la stessa pecca della legge ritenuta incostituzionale dalla Consulta. E non è certo una soluzione quella delle “parlamentarie”, perché quelle sono dinamiche interne ai partiti e nemmeno a tutti. Quella dell’assenza di preferenza è una delle lacune più odiose, più in contrasto con il principio di democrazia che, prima del porcellum, sembrava saldo e insuperabile: è il popolo deve scegliere il proprio candidato, indicandone il nome sulla scheda e non le segreterie di partito. Evidentemente Renzi, il vecchio travestito da nuovo, non intende minimamente ripristinare quel principio, forse per via di un’allergia personale, la stessa che lo rende portavoce di una proposta mirata a decretare la dittatura della maggioranza, nella sua convinzione semplicistica che la democrazia si basi sull’espressione del volere tassativo dei più, sull’eliminazione del dissenso o comunque sulla sua riduzione alla marginalità e all’assoluta impossibilità di far passare il proprio punto di vista.

Ci mancherebbe che il giovane sindaco possa pensare per un attimo alle minoranze come ad una risorsa democratica. Lui è l’uomo del realismo, della rottamazione (di tutti tranne che di colui con cui riesce a trovare “sintonia”), il dialogo lo riserva a pochi eletti e a chi lo osanna acriticamente. Come quelli che un tempo si lamentavano di Berlusconi e idolatravano Travaglio e adesso stanno con il giovane Matteo, che con quel Berlusconi ci dialoga e ci si accorda, nonostante sia un pregiudicato. Forse si prendono in giro da soli. Oppure hanno deciso che il mal di stomaco con il tempo può sparire e con esso, purtroppo, anche la memoria.


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