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Italiani sequestrati, adesso sono quattro

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Sono quattro adesso gli italiani sequestrati. Ci sono padre Dall’Oglio (nella foto) in Siria e proprio oggi ricorrono due anni dal rapimento in Pakistan di Giovanni Lo Porto, un volontario siciliano a cui gli amici hanno dedicato un video virale e di cui da tempo non si hanno assolutamente notizie. Le ultime vittime di quella che ormai è un’industria internazionale del crimine, o forse sarebbe meglio dire del terrorismo, sono state prese in Libia. Si tratta di due operai edili calabresi: Francesco Scalise di 62 anni e Luciano Gallo di 48. Sono stati prelevati da uomini armati in piena Cirenaica, in balia delle bande armate dopo la caduta di Gheddafi, nel villaggio di Martuba, tra Derna e Tobruk. Conosco bene la zona, è sulla strada che porta dalla Libia in Egitto ed è quella che chiunque deve percorrere per andare a Bengasi. Proprio la vicinanza con il confine egiziano costò alle truppe italiane una sconfitta storica durante la seconda guerra mondiale. Adesso i problemi sono altri e il territorio è considerato notoriamente il quartier generale della frangia libica di al Qaeda, già responsabile di numerose morti tra politici e poliziotti. Almeno cinque, compresi i seguaci del raìs e i responsabili della rivolta, proprio per dimostrare la loro forza “autonoma”, contro tutto e tutti. La scelta di Derna non è casuale, visto che è la città d’origine di Abu Sufian bin Qumu che dopo un periodo di prigionia a Guantanamo sembra che abbia fatto addirittura l’autista di bin Laden. Tornato a casa, ha prima guidato la rivolta e poi sterminato gli alleati contro Gheddafi sempre in nome della “sharia”. Il gruppo fa parte della cellula di Ansar al Sharia responsabile anche dell’attacco alla sede diplomatica americana a Bengasi e della morte dell’ambasciatore Chris Stevens. Non è del resto un mistero, visto che addirittura sul web i qaedisti hanno pubblicato filmati e proclami, proprio dedicati alla popolazione di Derna. Una cittadina che ricorre anche in documenti trovati in Iraq: da lì sono partiti addirittura 53 kamikaze, un numero incredibile se rapportato a soli 80 mila abitanti. Meraviglia dunque che una piccola impresa edile, la General World, con pochissimi contatti oltretutto con l’ambasciata italiana a Tripoli, abbia deciso di aprire l’attività in una zona così pericolosa. Ha influito senz’altro la crisi delle imprese, ma i rischi dovevano essere noti. Da quelle parti non è  certo tempo di “primavera”.


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