Semmai servisse ai nostri legislatori un validissimo esempio di quanto e come sono farraginose e contorte le disposizioni italiane, basta prendere spunto dalla sentenza di Strasburgo emessa a favore di quei coniugi italiani che pretendono il diritto d’assegnare al figlio il cognome materno. Si badi bene: pur vittoriosi otterranno un risarcimento danni dal nostro Stato, ma quel cognome materno mica l’otterranno ché noi stiamo ancora messi così. Vediamo come. Importantissimo è in primis precisare: da nessuna parte del nostro ordinamento giuridico sta scritta l’obbligatorietà per il figlio neonato d’assumere il cognome del padre, sposato con sua madre: il patronimico è consuetudine tramandata nei secoli (fedele) e perciò ha assunto valore di “diritto vitale”. Buffo vero? Ma andiamo avanti (che al peggio c’è mai fine). Stante ‘sta consuetudine, associata alla disparità di trattamento tra figli legittimi e naturali (è solo a metà dicembre 2013 che è stata abolita rendendo tutti i figli uguali all’interno e fuori del matrimonio) ebbene, funzionava che i figli nati nel matrimonio automaticamente assumevano il cognome del padre, quelli nati extra il cognome di chi tra i due per primo li riconosceva, salvo ripensamenti. Si sono visti padri che volendo assegnare al proprio figlio il cognome della madre, regolarmente con lui sposata, hanno dovuto… disconoscere il figlio. Roba che manco agli autori di Beautiful era mai venuta in mente! Quanto al cognome da assumere (in un certo senso) erano dunque i figli naturali, a differenza dei legittimi, a essere privilegiati. Menti contorte è dire poco…
E veniamo al momento nostro. Letta per primo, immediatamente dopo la sentenza di Strasburgo, riferisce che è inconcepibile, che la legge va modificata subito, che l’Europa lo pretende. Al tempo: ma quale modifica? La legge sul cognome va fatta perché…non c’è e, quanto alle “imposizioni” europee (peraltro infuse dalla carta dei diritti almeno fin dal 1978) facciamo sommessamente osservare che la nostra Cassazione, con sentenza n.12641 del 26 maggio 2006, così esprimeva (anzi, ribadiva perché già altre erano entrate nel merito) quanto al cognome patronimico: “patente violazione del principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi sancito dall’art. 29, II comma, Cost. e in generale dall’art. 3, Cost.”.e, in tal senso aggiungeva (pure!) a chiare lettere la necessità di un: “intervento legislativo capace, da un lato, di adeguare la disciplina sul cognome alle mutate esigenze di una famiglia che da tempo non si ispira più al modello patriarcale e, dall’altro, di conciliare il diritto all’identità personale della famiglia legittima con il medesimo diritto di quella naturale…”. Era il 2006…
Riusciranno i nostri “cognomi parlamentari”, possibilmente in silenzio, a scrivere velocemente due (ripeto due) righe di senso compiuto aggiungendole al nostro codice civile, capitolo “diritto di famiglia”?!