Sky, come è noto, pretende dalla Rai, il must offer, cioè la “cessione” integrale e gratuita della programmazione dei suoi canali generalisti sulla piattaforma satellitare a pagamento. Sky non è stata la prima piattaforma a pagamento a richiedere a Rai il must offer gratuito; era stata preceduta da Fastweb, e anche H3G qualche richiesta in tal senso l’aveva inoltrata. Tuttavia, mentre Fastweb non è andata oltre la soglia della diffida, Sky ha adito il giudice amministrativo, ottenendo, a suo dire, due sentenze favorevoli (TAR e Consiglio di Stato), che dichiarano l’illegittimità della “discesa” di Rai dalla piattaforma satellitare a pagamento.
Di questi giorni è la notizia, diramata dalle agenzie di stampa, che Sky, sulla base delle citate sentenze, si appresterebbe a richiedere a Rai un risarcimento milionario (oltre 100 milioni di euro) per il danno arrecato dall’oscuramento, mediante criptaggio, di Raiuno, Raidue, Raitre.
Il giudice amministrativo avrebbe in sostanza accertato la violazione, da parte della Rai, dell’art. 26 del Contratto di servizio 2007/09 che prevedeva: ”di realizzare la cessione gratuita, e senza costi aggiuntivi per l’utente, della propria programmazione di servizio pubblico sulle diverse piattaforme distributive”. Il Consiglio di Stato – secondo Sky – avrebbe precisato come la contestata cessione gratuita, lungi dal realizzare un ingiustificato vantaggio competitivo in suo favore, in realtà sarebbe un semplice e sicuro strumento per garantire l’effettiva universalità del servizio pubblico radiotelevisivo agli stessi utenti Rai, in regola con il pagamento del canone, anche quando si avvalgono di altre piattaforme distributive.
Ora, senza volersi addentrare nella complessa vicenda giudiziaria, sembra necessario dare qualche chiarimento utile alla comprensione semantica della questione. Nonostante il Contratto di servizio parli di cessione e la giurisprudenza amministrativa si sia pronunciata sulla cessione gratuita della programmazione di servizio pubblico da Rai a Sky, è evidente come nessuna cessione possa realizzarsi. I programmi Rai, infatti, sono trasmessi su Sky in simulcast; se vi fosse cessione, si giungerebbe al paradosso di un palinsesto pubblico sia in capo a Rai sul digitale terrestre, sia in capo a Sky sul satellite a pagamento! Nella realtà, gli utenti Sky, che ricevono i programmi del servizio pubblico con il logo Rai, sono consapevoli che l’editore è la Rai; tant’è che la stessa Sky recrimina per gli oscuramenti di alcuni programmi addebitandoli alla Rai: un chiaro segno che non vi è stata alcuna cessione da Rai a Sky. Quindi il termine “cessione” ha bisogno di una rettifica semantica, sia con riguardo al Contratto di servizio sia con riguardo alle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato.
Considerato il periodo di transizione dall’analogico al digitale, la norma, appellandosi al principio della “neutralità tecnologica”, intendeva porre a carico di Rai l’onere di veicolare la propria programmazione su tutte le piattaforme, ma non di cedere il palinsesto pubblico a tutti gli operatori! Si chiedeva in sostanza a Rai di trasmettere la propria programmazione anche sulle piattaforme tecnologiche diverse dal terrestre, tuttavia in modo neutro, neutro per gli utenti (divieto di introdurre costi aggiuntivi) neutro per gli operatori (che non avrebbero dovuto trarre vantaggi economici dalla diffusione dei palinsesti pubblici). Ora di Sky tutto si può dire tranne che sia un operatore neutro. Sky, oltre a essere un editore che agisce in regime di monopolio nella tv satellitare a pagamento, è anche un aggregatore di contenuti audiovisivi. Che non sia un neutro operatore di rete è dimostrato dalla stessa richiesta di risarcimento che Sky si appresta a rivolgere alla Rai. Se infatti, lamenterà di aver subito un danno per disdetta o mancata sottoscrizione di abbonamenti in conseguenza dei criptaggi sui canali Rai (che peraltro vengono attualmente diffusi senza che Sky versi alla concessionaria pubblica un solo euro), allora risulterà evidente come la vera preoccupazione è il calo degli abbonamenti, non il diritto dei propri utenti di vedere il servizio pubblico; utenti che, anziché dare la disdetta a Sky , potrebbero, molto più semplicemente, premere un tasto del telecomando per sintonizzarsi direttamente sulle reti del servizio pubblico.
La richiesta di danni da parte di Sky nasconde un gravissimo rischio per il servizio pubblico. E’ chiaro infatti che obbligare il servizio pubblico a veicolare i propri contenuti anche sulle piattaforme commerciali non editorialmente neutre (il must offer gratuito) equivale, di fatto, a riconoscere ai privati il ruolo di concessionario del servizio pubblico al pari della Rai. A quel punto, l’abbonamento pagato a Sky giocherà un ruolo sostitutivo dell’imposta sul canone, poiché lo si verserà a un soggetto (l’operatore commerciale satellitare) riconosciuto come titolare dell’obbligo, verso i propri clienti, di rendere disponibile il servizio pubblico. In conclusione autorizzando il must offer gratuito a Sky, si obbligherà la Rai a cedere gratuitamente la propria programmazione non solo alla stessa Sky ma, a ben riflettere, anche a Fastweb, a Cubovision – che attualmente veicola i programmi Rai a titolo oneroso – e persino Mediaset, che sulla piattaforma digitale terrestre premium ha una posizione del tutto speculare a quella di Sky. Tutte queste emittenti saranno pienamente legittimate a rivendicare il must offer che da modalità di fruizione universale della programmazione Rai, si trasformerebbe in una forma di strisciante privatizzazione del servizio pubblico radiotelevisivo, con le varie piattaforme private pronte ad usurpare il titolo di concessionario pubblico o a ergersi a sub concessionarie.