Il 24 gennaio del 1979 le Brigate rosse uccisero l’operaio della Cgil
di Alessandro Ceccarelli
ROMA – Il 1979 fu uno degli anni più terribili e sanguinosi del terrorismo in Italia. Il ricordo, i dolori, i lutti sono indelebili per la memoria collettiva del nostro Paese. Uno degli episodi più strazianti di quel tragico anno fu senza dubbio l’assassinio di Guido Rossa, operaio e sindacalista della Cgil, brutalmente ucciso dalle Brigate rosse a Genova il 24 gennaio del 1979. Lo choc nel Paese fu enorme: un’organizzazione terroristica della sinistra extraparlamentare, che inneggiava alla rivolta del proletariato, uccideva un operaio, un comunista e un sindacalista. Sembrava una drammatica contraddizione della storia.
Ripercorriamo questa tragedia umana dell’Italia contemporanea. Guido Rossa nasce in provincia di Belluno nel 1934. La sua famiglia si trasferisce a Torino. A 14 anni il giovane Guido inizia a lavorare come operaio in una fabbrica di cuscinetti a sfera. Poi passa alla Fiat in qualità di fresatore. Nel 1961 si trasferisce a Genova ed è assunto all’Italsider. L’anno seguente è eletto nel Consiglio di fabbrica della Cgil. E’ inoltre iscritto al Partito Comunista.
Il contesto in cui Guido Rossa lavora è diventato cupo e violento. Negli anni settanta le Brigate rosse cercano di “penetrare” nelle fabbriche del nord per fare proselitismo. Guido Rossa capisce immediatamente il pericolo di tale strategia e si mette subito in prima linea contro l’eversione che a volte attecchisce tra gli operai più oltranzisti. Dopo il dramma del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro, il Pci prende definitivamente le distanze dalla sinistra extraparlamentare, invitando tutti gli iscritti a vigilare soprattutto nelle fabbriche contro la minaccia del terrorismo.
L’inizio della condanna a morte di Guido Rossa avviene per un episodio che risale al 25 ottobre del 1978. Il sindacalista – che già da tempo aveva adocchiato l’operaio Francesco Berardi – lo sorprende con alcuni volantini delle Brigate rosse. Subito lo denuncia ai carabinieri. Gli altri due delegati della Cgil per paura, non condividono la sua scelta.
Francesco Berardi è arrestato e si dichiara prigioniero politico. Guido Rossa non si tira indietro e testimonia anche al processo nel quale il fiancheggiatore delle Br è condannato a quattro anni e mezzo di reclusione. Morirà suicida nel carcere di Cuneo il 24 ottobre del 1979.
Dopo la coraggiosa denuncia del sindacalista Guido Rossa, le Br capiscono il pericolo e decidono di “punirlo” in maniera esemplare. I dirigenti della colonna genovese delle Br pensano prima di sequestrare Rossa. Passa invece la mozione di gambizzarlo. Nei mesi che precedono l’esecuzione, Guido Rossa è lasciato solo in una sorta di tragica gogna: molti operai lo accusano di essere una spia.
Il sindacalista tira dritto avendo la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta. Una scelta che invece gli costa la vita. Il 24 gennaio 1979, come tutte le mattine, poco dopo le 6.30 del mattino, Guido Rossa esce di casa per andare a lavorare. Appena entra nella sua Fiat 850 viene circondato da tre brigatisti armati. Sono Riccardo Dura, Vincenzo Guagliardo e Lorenzo Carpi. I terroristi esplodono sei colpi di pistola alle gambe del sindacalista e si danno alla fuga. Avviene però un fatto inatteso. Il capo del commando, Riccardo Dura, torna indietro e spara un colpo al cuore di Guido Rossa che rimane fulminato. Riccardo Dura si giustificò con gli altri brigatisti dicendo: “Le spie vanno uccise”.
La reazione degli operai, della città e dell’Italia intera fu durissima e compatta. Il barbaro omicidio fu condannato e le Brigate rosse non trovarono più fiancheggiatori nelle fabbriche. Al funerale di Guido Rossa parteciparono 250mila persone in un’atmosfera di grande emozione e rabbia per un delitto assurdo e inaccettabile. Rimane indelebile nella storia del sindacalismo, la figura di Guido Rossa, un uomo integro e coraggioso che ha pagato la con vita la sua battaglia contro il terrorismo.
Da dazebao.it