Mentre gli organismi sindacali esplicitano le cifre dell’entità dell’equo compenso giornalistico, dopo un anno di inattività rispetto ai lavori di attuazione della norma da parte della commissione istituita dalla legge 233/2012, viene annunciata dall’on. Legnini la sua inapplicabilità nei confronti dei giornalisti non contrattualizzati.
La notizia ha destato allarme tra freelance e precari, cioè la maggioranza dei giornalisti, e si stanno preparando iniziative di denuncia verso le possibilità di danni erariali poiché la legge detta anche i criteri attraverso i quali vengono erogati contributi e benefici pubblici sotto qualsiasi forma agli editori. Non si spiega infatti perché lo Stato dovrebbe premiare con denaro della collettività chi tratta iniquamente o illegalmente i propri lavoratori.
Lo sfruttamento esistente nel settore dell’informazione, e a danno dei giornalisti “autonomi” in particolare, è da tempo conclamato. Ma quanto accade porta nuovamente a dover richiamare il banale concetto che l’attività di tutela da parte degli organismi di categoria (dovere istituzionale, spesso dimenticato, di ordine professionale e sindacato) non può in nessun caso escludere i lavoratori autonomi dai fenomeni di sfruttamento praticati dalle aziende editrici.
Nell’interpretare l’applicazione delle tutele che discendono anche dall’art. 36 della Costituzione, occorre anche tenere presente la peculiarità del cosiddetto lavoro autonomo del giornalista. A differenza delle altre professioni ordinistiche, dove è possibile che il pagamento della prestazione avvenga anche direttamente dal fruitore del servizio al professionista, senza intermediari, il giornalista deve fornire la propria opera necessariamente all’interno di aziende che gestiscono la comunicazione di massa e producono quei particolari media, le testate giornalistiche, che erogano il servizio di informazione all’utente finale, il cittadino. Come tutti sanno, medici e ingegneri, se non sono soddisfatti delle condizioni applicate dal loro datore di lavoro pubblico o privato, possono aprire un loro studio professionale e farsi pagare direttamente dai fruitori finali delle loro prestazioni, non da un’azienda. I giornalisti, no.
Chi ha governato la categoria ha consentito negli ultimi trent’anni gli editori allevassero generazioni di ragazzini pagati centesimi al rigo per farne diventare moltitudine di mano d’opera giornalistica che si disputa l’elemosina di compensi indecenti. Dal primo gennaio 2012 è in vigore la Carta di Firenze emanata dall’Ordine dei giornalisti contro il fenomeno dello sfruttamento e precarizzazione della professione. La norma fra l’altro prescrive tre precise disposizioni.
“Gli iscritti all’Ordine sono tenuti a non accettare corrispettivi inadeguati o indecorosi per il lavoro giornalistico prestato.”
“Gli iscritti all’Ordine che rivestano a qualunque titolo ruoli di coordinamento del lavoro giornalistico sono tenuti a non impiegare quei colleghi le cui condizioni lavorative prevedano compensi inadeguati.”
Nonostante le norme, perfino quelle ordinistiche chiarissime citate testualmente, e le indicazioni che negli ultimi congressi nazionali Fnsi sono state espresse per tracciare gli indirizzi dell’azione sindacale, le necessarie adeguate tutele nei confronti dei lavoratori autonomi non vengono generalmente prestate all’interno delle testate neppure dagli stessi comitati di redazione.
Sono quindi gli stessi colleghi che consentono agli editori che ci siano due distinte categorie di lavoratori all’interno dei giornali: i contrattualizzati, la cui remunerazione può in qualche modo essere tutelata dallo sfruttamento; e gli “autonomi”, cui questo diritto viene negato.
Le aziende editrici perseguono una strategia che vuole un sindacato-ambulanza, che corre in giro a soccorrere le loro aziende in stato di crisi e si accorda per prepensionare quanti più giornalisti possibile saccheggiando le risorse del nostro ente di previdenza. Questo ruolo in cui viene relegato il sindacato sta distruggendo il sistema dell’informazione. I giornali nel prossimo futuro avranno un nucleo di pochi assunti e una moltitudine di affamati collaboratori da pagare poche monetine. Tutti sotto ricatto.
Chi scrive, per ruolo sindacale in seno ad Assostampa Sicilia, ritiene che il sindacato dei giornalisti non possa gestire la propria azione di tutela escludendo, come chiedono gli editori, i collaboratori autonomi. Anche in Sicilia si prospettano dolorosissimi tagli negli organici delle redazioni. Questo condurrà al massiccio aumento delle collaborazioni esterne. L’azione del sindacato non può assolutamente consistere nella mera gestione dei prepensionamenti e nella gestione dei contrattualizzati, ma deve guardare allo scenario che gli editori stanno allestendo per il mercato del lavoro giornalistico autonomo.
Gli organismi sindacali hanno già chiaramente espresso quali siano i riferimenti dell’equo compenso per i giornalisti autonomi. La proposta della Commissione lavoro autonomo della Fnsi giace, mai posta in discussione, agli atti della commissione Legnini dal marzo dell’anno scorso. Un’ora di lavoro secondo il contratto Fieg-Fnsi è attualmente circa 20,34 euro. Stampa Romana, il sindacato del Lazio, indica come “il costo di due ore di lavoro del giornalista dipendente deve essere considerato il minimo-base per produrre una NOTIZIA (non un articolo o un servizio) che, a questo punto, diventa l’unità di misura minima di compenso che connota l’esercizio dell’attività giornalistica.” Se una redazione chiama un esterno per coprire una notizia, è lecito pagare di meno?
La legge 233/2012 è stata rivendicata dalla Fnsi come una propria grande vittoria che sancisce l’attuazione di un diritto costituzionale. Se invece fosse davvero un provvedimento impossibile da applicare a tutti i giornalisti, come argomentano gli editori (e a quanto pare afferma il consulente avvocato Treu, ex ministro, nominato dal presidente della Commissione per l’equo compenso Giovanni Legnini) scoprirlo ora sarebbe una figuraccia dall’effetto devastante. Occorre quindi non accettare supinamente questa opinione ma confutare e contrastare sia attraverso il ricorso ad altri autorevoli giuristi che con la più ampia e decisa azione politica e sindacale l’intenzione di negare il diritto costituzionale all’equo compenso di tutti i giornalisti non subordinati.
Gli editori chiedono di sacrificare i giornalisti autonomi, ricattando il sindacato nella trattativa per il rinnovo contrattuale.
Ma a chi serve firmare a tutti i costi un contratto nazionale di lavoro che nega la tutela alla maggioranza dei giornalisti attivi, e che gli editori constatiamo giudicano all’occorrenza solo carta straccia?
*coordinatore Commissione lavoro autonomo regionale Assostampa Sicilia
componente Commissione lavoro autonomo nazionale Federazione Nazionale Stampa Italiana