Un anno dopo l’approvazione e la pubblicazione della legge sull’equo compenso per i giornalisti lavoratori autonomi si è giunti a un punto molto delicato; e il lavoro della Commissione istituita dalla stessa legge rischia di produrre un risultato che mal si sposa con il testo normativo.
L’organismo nato per “definire l’equo compenso dei giornalisti iscritti all’albo non titolari di lavoro subordinato” sta entrando nel merito non solo della definizione dell’equo compenso ma della platea a cui si riferisce la legge. La delibera in discussione, proposta al tavolo dal Sottosegretario Legnini, ha di fatto ristretto il campo di applicazione ai collaboratori con contratto Co.co.co. Ma questo inciderebbe sul contenuto esplicito e inequivocabile di una legge dello Stato, nata per sanare una serie di storture del mercato del lavoro giornalistico maturate negli ultimi 15-20 anni, che riafferma diritti sanciti dalla Costituzione e in particolare dall’articolo 36.
Questa impostazione di lavoro sta destando molta preoccupazione. E per questo i freelance membri della Commissione nazionale lavoro autonomo della FNSI, dopo aver presentato una proposta di definizione di equo compenso circa un anno fa – che è diventata proposta della Federazione della stampa al tavolo istituzionale – e dopo aver di recente elaborato una nota esplicativa con esempi di cifre derivanti dai criteri di calcolo proposti, hanno deciso di condividere una lettera-appello.
EQUO COMPENSO: LETTERA-APPELLO DELLA CLAN-FNSI (18 gennaio 2014)
Quali membri della Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi (CLAN), che ha elaborato la proposta dei criteri d’individuazione dell’equo compenso ai sensi della Legge 233/2012, e poi formalizzata dalla Fnsi stessa al tavolo ministeriale plurilaterale per l’attuazione della legge, e quali membri attivi nelle nostre rispettive realtà regionali, non possiamo non esprimere vivissima preoccupazione e, allo stato attuale, l’assoluta non condivisione di ciò che si sta prospettando nella Commissione Equo compenso riguardo i criteri d’attuazione della legge 233.
Innanzitutto apprendiamo che la proposta avanzata dal Presidente della Commissione equo compenso ne esclude l’applicazione ai lavoratori autonomi, e ciò sulla base di un’interpretazione del Codice Civile. Ne esclude inoltre l’applicazione ai tanti rapporti di lavoro autonomo che dissimulano rapporti di lavoro subordinato, e la considera applicabile ai soli parasubordinati.
Senza entrare troppo nel merito tecnico del tema, non possiamo non rilevare che l’eventuale approvazione di una delibera così strutturata sarebbe uno stravolgimento sostanziale della lettera e dello spirito della legge 233, di cui verrebbe drasticamente ridotta la portata e l’applicabilità.
E ciò sulla base di un’interpretazione univoca delle disposizioni del Codice Civile sul lavoro autonomo intellettuale. In realtà nel Codice non esiste alcun esplicito riscontro testuale di quanto assunto a base giuridica della delibera. Anzi l’art. 2233 fa esplicito riferimento al fatto che “In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”. Il che appare perfettamente in linea con l’art. 36 della Costituzione, cui la legge dell’equo compenso si ispira. Si tratta pertanto di un’interpretazione discutibile, che può e dev’essere contrastata da altri pareri giuridici.
Non possiamo poi non rilevare che l’eventuale esclusione dell’applicazione dell’equo compenso ai lavoratori autonomi, per i quali varrebbe quindi la libera contrattazione (sebbene mitigata da un finora imprecisato riferimento “anche nell’ambito di linee guida opportunamente individuate dall’ordinamento professionale”), si tradurrebbe in oggettiva spinta per gli editori a disdettare i contratti cococo esistenti, imponendo come precondizione per poter collaborare l’apertura di una Partita Iva, e ciò al solo fine di sfuggire alle maglie dell’Equo compenso minimo vincolante.
Anche l’affermazione che ai tanti “finti” autonomi, che in realtà svolgono incarichi da subordinati, non può essere applicato l’equo compenso, in quanto dovrebbero essere inquadrati da dipendenti, nella sua attuale stesura si traduce in una doppia penalizzazione. Infatti non si può venir assunti per disposizione di legge, ma per accordo tra le parti o per sentenza di un giudice del lavoro. Così l’attuale dispositivo, mentre non può garantire l’assunzione, esclude il diritto almeno alla retribuzione ai sensi dell’equo compenso, nell’attesa di un’assunzione o di una causa.
Non possiamo inoltre non sottolineare come la Commissione Lavoro Autonomo della Fnsi abbia elaborato, dopo lunghe discussioni e verifiche tecniche, una proposta d’individuazione dell’equo compenso che si basa sulla libera contrattazione tra le parti del tempo di lavoro necessario, ancorandone la retribuzione minima ai contratti collettivi di categoria, e ai rispettivi livelli d’inquadramento. In tal modo la retribuzione sarebbe individuata in termini chiari, graduata a seconda delle realtà ed esigenze produttive, aggirando l’ostacolo dell’individuazione di tariffari, da una parte sempre discutibili e dall’altra contestabili in quanto in contrasto con le normative europee. Infine, a tutela del collaboratore, in caso di disaccordo tra le parti (giornalista e datore), o per scelta consensuale, si farebbe riferimento al tariffario Odg 2007, maggiorato dell’inflazione, che ancora oggi ha valore come punto di riferimento di congruità retributiva nelle cause di lavoro.
Riteniamo quindi che la proposta elaborata della Clan-Fnsi sia una soluzione equilibrata, in aderenza alla legge 233 e tecnicamente inattaccabile ai sensi delle norme sulle liberalizzazioni.
Invitiamo a non abbandonare tale riferimento, che oltretutto riteniamo garantirebbe da una parte una giusta retribuzione e dall’altra una corretta flessibilità e sostenibilità economica delle collaborazioni esterne.
Non possiamo infine non sottolineare che un eventuale affossamento nella fase applicativa dell’equo compenso, mantenendo il lavoro autonomo meno costoso e con quasi inesistenti diritti, sarebbe un potente disincentivo per gli editori alle stabilizzazionie al tentativo sindacale di portare nel contratto collettivo tutele e diritti per gli autonomi, fino alle contrattualizzazioni dei tanti “finti autonomi” che ne avrebbero teoricamente diritto.
La battaglia per l’equo compenso è anche la battaglia per il nuovo contratto collettivo di lavoro, che dev’essere il baluardo unitario di tutta la categoria. Non si può e non si deve permettere di sancire per legge inaccettabili diseguaglianze tra giornalisti, quando ci sono le strade per uscirne tutti assieme.