La prima critica al “Job Act” di Renzi è che l’assegno di disoccupazione universale costa troppo. Come dire: il sistema di tutelare il lavoratore più che il suo posto di lavoro – sostenendolo con un sussidio e una formazione vera di ricollocazione – sarebbe pure interessante, ma non è sostenibile. Con questa obiezione, molti pigri critici di questa riforma del lavoro pensano di evitare la fatica di entrare nel merito e chiudere la questione qui. E invece è proprio qui – dal reperimento dei fondi di sostegno alla ricollocazione attiva – che deve partire la riflessione.
Cioè dall’evasione fiscale abnorme del nostro Paese, un tema ad alto indice di rimozione nel dibattito politico.
Che invece diventa un pilastro decisivo della riforma del lavoro (e non solo), soprattutto nella prospettiva di contrastare una disoccupazione giovanile ormai oltre i limiti della coesione sociale.
Trattare quindi in parallelo i due temi – riforma del lavoro e lotta all’evasione fiscale – sarebbe un segnale di serietà e di volontà di cambiamento. Magari assumendo 10.000 giovani con il compito di stanare gli evasori per abbassare le tasse a chi le paga anche per loro e reperire fondi per politiche sociali vere e incisive.
Sarebbe la più grande campagna contro la furbizia paralizzante della storia nazionale, che toglie 120 miliardi di euro l’anno alla giustizia sociale.
Se suona meglio, chiamiamolo pure “Dishonest Act”.
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