Renzi risponde a Letta. “Spero si faccia la legge sul conflitto di interessi, ma (non si usi) questo pretesto per sabotare l’accordo”. Poi aggiunge che: “Non sarebbe opportuno votare nel semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, ma tecnicamente è possibile”. A buon intenditor…
Ecco il succo che ne trae la Stampa: “Riforme, tutti contro tutti”. “Alfano annuncia emendamenti. Per Forza Italia, le liste bloccate non si toccano. Renzi: Basta parole ora i fatti. Napolitano preoccupato: bisogna fare presto.” Per Repubblica: “Letta e Renzi alla resa dei conti”, secondo il Giornale, invece, “Berlusconi blinda Renzi”. “Finalmente ho trovato nel Pd qualcuno con cui ragionare”.
Sul Corriere della Sera approda Nando Pagnoncelli, già noto al grande pubblico per il suo raccontar sondaggi a Ballarò. E rassicura Renzi. Un italiano su due (la maggioranza) ritiene che sia stata “giusta la scelta di accordarsi con Berlusconi sulla legge elettorale”. E questo perché tre italiani su quattro preferirebbero “un sistema elettorale con due soli partiti, o due coalizioni”. Solo uno su cinque, il 19 per cento è convinto che il metodo proporzionale sia da preferire.
Non è strano. Da oltre venti anni sentiamo dire che l’Italia non è governabile. Sentiamo partiti di destra e di sinistra invocare riforme costituzionali radicali e sostenere che le lungaggini (e le imboscate) parlamentari sarebbero le vere cause dell’inazione e dell’inefficacia dei governi. Al contrario io penso che la prima responsabilità principale dello stato presente delle cose sia dei partiti. Che l’origine della melma in cui sta affondando la seconda repubblica sia da individuare nel carattere elettoralistico, demagogico, contraddittorio delle alleanze costruite da Berlusconi per unire il centro – destra. E nell’insensato e ripetuto errore dei gruppi dirigenti della sinistra, che hanno cercato di usare Berlusconi come una scorciatoia, un modo per arrivare al governo tendendosi le mani libere e dunque senza dir prima, chiaramente, ai propri elettori come intendessero cambiare il paese.
Ma questa è storia. Oggi, davanti alla crisi, alla disoccupazione, alla corruzione dilagante, all’inefficienza amministrativa, parecchi elettori di sinistra (almeno un milione e ottocentomila) hanno chiesto a un signore dai modi sbrigativi di tirarli fuori (loro e il Paese) dalle sabbie mobili. Naturalmente, molti tra quelli che hanno votato Renzi alle primarie diffidano dei gruppi dirigenti dei partiti, ma temono il vuoto, la crisi che si avvita su se stessa, e perciò hanno inteso concedere al Pd e al suo segretario un’ultima occasione.
Tantissimi, quasi 400mila, hanno scelto invece la mozione Civati per chiedere alla sinistra di coniugare la proposta politica, per tirare via l’Italia dalla palude, con una prospettiva di cambiamento radicale: contro l’ineguaglianza e la corruzione, l’abuso del territorio e il disprezzo per i diritti. Una forza straordinaria che ci spinge ad accettare il confronto e la sfida con Sinistra Ecologia e Libertà, che sta tenendo il congresso (auguri!), con le proposte di Landini, con quelle di Rodotà, con intellettuali e personalità della sinistra che stanno sostenendo una lista Tsipras (per un’altra Europa) e, naturalmente, anche con chi nel Movimento 5Stelle fosse disposto a dialogare. Al tempo stesso, poiché quei voti si sono espressi nel Pd, è opportuno riconoscere come la volontà di potenza di Renzi si fondi su un consenso vero e, al tempo stesso, non ignorare l’altra opposizione, che si è coagulata intorno a Cuperlo, all’interno della quale tante donne e tanti uomini oggi sanno di dover ripensare la propria proposta.
Sono a Palermo. Ieri, a Catania, ho partecipato a una riunione dell’area Civati che ha deciso di candidare per la segreteria siciliana del Pd, Antonella Monastra, medico, impegnata nella società civile, consigliere comunale a Palermo. Una candidatura per non far finta di niente. Per non nascondere sotto il tappeto (come rischia di fare la maggioranza del Pd siciliano) la spazzatura di un partito diviso, intento sempre a contendersi assessorati e candidature alle europee, e incapace di rispondere alle domanda di una politica nuova.
Quella domanda che ha portato all’elezione di Rosario Crocetta alla guida del governo regionale, ma che poi ha dovuto subire la delusione per una “rivoluzione” tante volte annunciata ma di cui non si è visto quasi niente. Proprio oggi il Giornale di Sicilia titola: “Stop a spese per 500 milioni”. “A rischio 40mila stipendi”. Il Commissario dello Stato ha bloccato la Finanziaria. Crocetta, infuriato, chiede l’abolizione del commissario e parla di “attentato all’autonomia siciliana”. Capisco l’ira ma gli chiedo: non vede, caro presidente, che si sta parlando in Italia e nel suo partito di trasformare il Senato sul modello del Bundesrat tedesco, che si vuole riformare la riforma del Titolo Quinto della Costituzione? Davvero non comprende che nessuna autonomia sarà più come prima? Perché gli errori e la crisi non lo consentono. Neppure l’autonomia siciliana, che vide la luce prima della stessa Costituzione, tra l’incudine (usata dalla destra) del movimento separatista e il martello di una grande battaglia contadina democratica e popolare. Un patto, però, che in 70 anni è stato usato dalle classi dirigenti dell’isola per “chianciri e futtiri”. Non serve traduzione.