Dei primi 60 anni della Rai Tv ne ho trascorso 35 a lavorare là dentro: tutti i giorni, tutto il giorno. Un po’ la conosco. E forse per questo non mi è facile parlarne: mi sento ancora coinvolto. Tuttavia non posso ignorare questo brano scritto sul Corriere del 31 dicembre da Milena Gabanelli.
“Privatizzare la Rai è un tema ricorrente. Nessun Paese europeo pensa di vendersi il servizio pubblico perché è un cardine della democrazia non sacrificabile. In nessun Paese europeo però ci sono 25 sedi locali: Potenza, Perugia, Catanzaro, Ancona. In Sicilia ce ne sono addirittura due, a Palermo e a Catania, ma anche in Veneto c’è una sede a Venezia e una a Verona, in Trentino Alto Adige una a Trento e una a Bolzano. La Rai di Genova sta dentro a un grattacielo di 12 piani… ma ne occupano a malapena 3. A Cagliari invece l’edificio è fatiscente con problemi di incolumità per i dipendenti. Poi ci sono i centri di produzione che non producono nulla, come quelli di Palermo e Firenze. A cosa servono 25 sedi? A produrre tre tg regionali al giorno, con prevalenza di servizi sulle sagre, assessori che inaugurano mostre, qualche fatto di cronaca. L’edizione di mezzanotte, che è una ribattuta, costa 4 milioni l’anno solo di personale. Perché non cominciare a razionalizzare? Se informazione locale deve essere, facciamola sul serio, con piccoli nuclei, utilizzando agili collaboratori sul posto in caso di eventi o calamità, e in sinergia con Rai news 24. Non si farà fatica, con tutte le scuole di giornalismo che sfornano ogni anno qualche centinaio di giornalisti! Vogliamo cominciare da lì nel 2014? O ci dobbiamo attendere presidenti di Regione che si imbavagliano davanti a viale Mazzini per chiedere la testa del direttore di turno che ha avuto la malaugurata idea di fare il suo mestiere? È probabile, visto che la maggior parte di quelle 25 sedi serve a garantire un microfono aperto ai politici locali”.
Dura, non c’è dubbio, ma non al punto da meritare la risposta che segue, ad opera del segretario del sindacato dei giornalisti Rai, Vittorio Di Trapani.
“L’attacco alle sedi regionali della Rai sferrato da Milena Gabanelli dalle colonne del Corriere della Sera è disinformazione pura: dati errati e una scarsa conoscenza dell’azienda per la quale lavora da anni. Un’operazione del genere fatta in una fase cruciale del rinnovo del Contratto di Servizio e del dibattito sul Concessione di Servizio Pubblico del 2016 rischia di dare un grande aiuto ai detrattori della Rai. Prima di fornire alcuni dati, non posso che esprimere sconcerto per l’opinione che Gabanelli ha delle colleghe e colleghi che lavorano nelle redazioni regionali: nella TGR non abbiamo 700 reggi microfono o esperti di sagre, ma straordinari professionisti che ogni giorno garantiscono l’informazione di Servizio Pubblico per e dal territorio. Passiamo ai dati. Le sedi regionali non sono 25, ma 21: una per ogni regione, più Trento e Bolzano. Le redazioni invece sono 24, perché si aggiungono quelle di minoranza linguistica: Bolzano tedesca, Bolzano ladina e Trieste slovena. Le redazioni regionali non producono solo 3 tg al giorno, ma 3 telegiornali, 2 giornali radio, gli appuntamenti quotidiani della mattina Buongiorno Regione e Buongiorno Italia, un tg scientifico quotidiano, un settimanale, diverse rubriche quotidiane e settimanali a trasmissione nazionale, cui vanno aggiunti tutti i servizi che ogni giorno vengono prodotti per i tg nazionali. Solo per fare alcuni numeri: da Milano, Torino e Napoli arrivano oltre 12mila pezzi all’anno. In sintesi, la TGR produce 8500 ore tv e 6200 radiofoniche. Sul tg della sera (la cosiddetta terza edizione) ricordiamo che – nonostante l’assenza di un orario fisso – garantisce alla rete sempre un leggero aumento di ascolto. È falso che Firenze e Palermo siano centri di produzione. Com’è falso che non producano nulla. A Firenze si produce Bellitalia, rubrica nazionale dedicata ai beni culturali. A Palermo si produce Mediterraneo, rubrica di attualità internazionale realizzata con France 3, in collaborazione con Entv Algeria e trasmessa da 8 emittenti europee e in lingua araba. Che alcuni immobili poi siano sovradimensionati lo abbiamo denunciato noi per primi, proponendo alla Rai una valutazione congiunta, convinti che in alcuni casi si possano trovare soluzioni più adeguate e con il ricavo investire in innovazione tecnologica. Insomma, con un condensato di luoghi comuni, Gabanelli si iscrive di diritto nel partito – a dire il vero molto trasversale – di quanti pensano che il problema della Rai sia come ridimensionarla. E infatti, rivolgendosi al governo e ai partiti attraverso l’autorevole tribuna del Corriere della Sera (grazie a un contratto Rai che non le impone l’esclusiva), Gabanelli si inserisce nella scia qualunquista per chiedere una sforbiciata alla Rai e non invece ciò che realmente serve alla nostra azienda di Servizio Pubblico.”
Che dire? Milena Gabanelli è una delle migliori interpreti di quella televisione servizio pubblico che spesso invochiamo. La replica mi sembra in puro stile “stalinista”, anche se questo Di Trapani non è un post comunista né un catto comunista, credo che si definirebbe, piuttosto, un moderato.
Non si tratta di disprezzare il lavoro dei 700 giornalisti delle redazioni locali, ma di ammettere che i Telegiornali Regionali si aprono, di regola, con uno o due servizi sul Governo e sul Parlamento della regione, mentre i “pezzi” su Frosinone o Como appaiono al pubblico che vive (o che lavora) a Milano o a Roma, un po’ come servizi sulle sagre.
È inoltre evidente come la proliferazione degli appuntamenti regionali sia stata decisa per saturare di lavoro le redazioni, dato che i direttori dei Tg Nazionali non prendevano né servizi politici né di cronaca dalle regioni. Non li prendevano perché non potevano sceglierne l’autore (i Tg regionali hanno un altro Direttore e altri Capi redattori che sono, in realtà, mini direttori). E perché quei servizi avevano spesso uno stile e una struttura che li identifica come corpo estraneo, un alieno nel racconto del telegiornale.
Ho proposto più volte, e a diversi Direttori generali, di spostare risorse dal Tg del Piemonte o della Campania, per costruire dei giornali metropolitani. Essenzialmente cronaca cittadina, in diretta, con la capacità di tornare sul fatto quando serve con mini inchieste. La Rai potrebbe far propria l’eredità dell’informazione locale, e persino rastrellare risorse pubblicitarie. Naturalmente, nessuna risposta: l’hanno presa per una boutade. Così quando Milano fu bloccata, per diverse ore, dopo una rapina a un furgone porta valori, le immagini non arrivarono neppure il giorno dopo. Di regola i “mezzi” a disposizione delle redazioni regionali sono tutti impegnati a seguire quel che succede nei palazzi del potere locale o a condire, con dirette scenografiche, Buongiorno Italia, che va in onda sulla Terza Rete alle 7 del mattino e fa un ascolto non di molto superiore a quello che faceva la mia rassegna stampa.
In generale, dietro l’intemerata staliniana del Segretario dell’Usigrai, c’è la subalternità di questo sindacato al Direttore Generale, Luigi Gubitosi. Il quale ha posto sotto il proprio diretto controllo, assumendo dirigenti dall’esterno che rispondano solo a lui, tutti i gangli vitali dell’azienda: relazioni esterne e istituzionali, direzione amministrativa, pubblicità, auditing, ufficio legale. Non ha invece toccato l’area produttiva, evitando di aprire il confronto, doloroso, sul prodotto e sul modo (e i costi) del produrre.
Spenta ogni opposizione interna (con le buone o con le cattive), conquistata l’acquiescenza dei sindacati (per i quali vale il detto latino quieta non movere), lasciato alla brava Esclapon il compito di costruire una rete di giornalisti amici nei principali quotidiani, Gubitosi pensa di poter strappare allo Stato un contratto di servizio assai generoso. Se non dovesse riuscirci, potrebbe sempre dire che la colpa del ridimensionamento della Rai (e della, a quel punto, inevitabile parziale privatizzazione) non è sua, ma del mercato, che non consente alla Rai di aver così tanta carne al fuoco.
Per me tutto ciò è folle, Penso che senza affrontare subito il nodo di cosa produrre e come, senza riscrivere i contratti, senza persino prevedere un percorso del gambero per quella pletora di dirigenti ai quali non si sa più cosa far fare, la Rai finirà col diventare un costo. Com’è già successo ad altre aziende a partecipazione statale. Purtroppo la sinistra non impara mai dai suoi errori. Scusate, ma quando leggo la prosa del Di Trapani, divento anch’io pessimista.