Il Capodanno è il tempo dei bilanci. L’anno 2013 è stato il primo, in concreto, in cui si sono viste all’opera le istituzioni somale della post transizione, quelle che la volontà internazionale ha promosso e che i somali hanno adottato e realizzato a partire dall’estate 2012, quando venne eletto dagli Helders (e solo da loro) il primo Parlamento della post transizione che, a sua volta, elesse l’attuale Presidente della Repubblica Federale somala Hassan Sheikh Mohamud.
Di seguito, Mohamud nominò Primo ministro Abdi Farah Shirdon e, appresso, gli nominò la corte dei ministri. Insieme hanno governato la Somalia per tutto il 2013, ma dopo i primi mesi di presentazione alle cancellerie di tutto il mondo, con la conferma delle promesse di sostegno da parte dell’intera comunità internazionale, quel patrimonio di credibilità si è completamente dissolto in pochissimo tempo. Era un patrimonio legato alla speranza mondiale nelle nuove istituzioni alimentata anche dalla sorpresa per l’elezione del Presidente Mohamud che aveva battuto inaspettatamente l’assai più navigato, ma chiacchierato Sheikh Ahmed. Un patrimonio che è rimasto disponibile sino a tutto il settembre 2013, quando Mohamud venne in Italia subito dopo il vertice di Bruxelles. E’ stato da allora che quel patrimonio è stato sciupato e forse in modo irreparabile da parte di Mohamud. Poche mosse, ma totalmente sbagliate, l’hanno reso impresentabile al cospetto della comunità internazionale.
Il caso di Faduma è stato emblematico di come, con un solo episodio, si sia inferto un doppio uppercut al volto della comunità internazionale. Mentre il mondo si pone il problema della discriminazione del genere femminile, la giornalista Faduma violentata, incarcerata e poi condannata in meno di un mese, mentre gli stupratori restavano in libertà e indenni da processo, è stato il primo durissimo colpo. Poi c’è stata l’incarcerazione dei giornalisti che avevano diffuso al mondo la vicenda di Faduma. Punire la stampa libera sino al punto di distruggere gli apparati trasmettitori di Media Shabelle, è stato il secondo gravissimo colpo. Una vicenda del tutto inspiegabile per il danno che ha provocato alle istituzioni somale. Nello stesso periodo, poi, sono state presentate le dimissioni della prestigiosissima Yussur Abrar dal vertice della Banca Centrale somala, la cassaforte nella quale i paesi sostenitori versavano i loro doni e che Mohamud e suoi consiglieri pretendevano di trasformare in un bancomat personale. Si aggiunga la votazione di sfiducia del Parlamento somalo al Primo ministro Shirdon, resa illegittima dall’avergli impedito di prendere la parola in aula. Si sommi il rosario pressoché quotidiano degli attentati dinamitardi e, soprattutto, di quelli che Al Shabab non ha rivendicato, come l’attentato davanti alla porta del Presidente Mohamud che ha ucciso il deputato dell’opposizione Mohamed Warsame Mohamed, detto Faysal. Si consideri, infine, il riaccendersi delle guerre claniche a Beledweyne nella regione di Hiiran, a Jowar nel Medio Shabelle, ad Afgoye nel Basso Shabelle ed altrove, mentre interi quartieri di Mogadiscio in mano ad Al Shabab come Daynile, Huriwa e Karan, subiscono esplosioni tutte le notti e il quadro delle nuove istituzioni somale presenterà, a fine 2013, il disastro di un anno inutile per la pace e inconcludente per la ricostruzione.
Sarebbe facile dire oggi che Mohamud, avendo accentrato su di sé il potere anche dell’esecutivo, è il maggior responsabile di questo sfacelo politico ed umano e pronosticare che non sarà lui che porterà la Somalia alle elezioni a suffragio universale che la comunità internazionale ha programmato per l’agosto 2016, ma se lui decidesse di abbandonare quella setta dei Damul Jadid che, quanto più gli si sono avvicinati, tanti più danni gli hanno provocato, forse potrebbe risalire quei gradini di credibilità e di affidabilità internazionale dai quali è ruzzolato così rapidamente quanto rovinosamente.
Il reato di stupro sofferto da Faduma non è prescritto e il processo può ancora farsi: degli indagati, perfino la comunità internazionale conosce nome e cognome. Sarebbe un gesto importante per dimostrare che Mohamud ha a cuore il mondo femminile con i fatti e non solo con le parole.
Verso la stampa occorre cambiare radicalmente l’atteggiamento. I giornalisti non sono i nemici del potere: ne sono i guardiani. La voce della stampa è quella che indica gli errori dei politici, che raccoglie il malcontento popolare; è il tramite tra il popolo e il potere. In tutto il mondo occidentale la stampa è sacra proprio perché rappresenta il popolo e zittirla significa perdere il contatto con gli elettori e con il loro consenso. Solo i dittatori spengono la voce della stampa libera, ma la Somalia non ha neppure un suo esercito veramente efficiente. Come si fa a pretendere di fare i dittatori di uno Stato sorretto dalla comunità internazionale? In queste condizioni, a mettere la museruola alla libera stampa, si fa solo la figura del capomafia che, ancora una volta, è impresentabile al mondo occidentale dalla cui benevolenza dipende la ripresa della Somalia. Questo non significa che la stampa debba essere lasciata libera di calunniare e diffamare, ma anche per questo servirebbe una giustizia somala effettivamente terza ed indipendente, come nel processo ai giornalisti di Radio Shabelle non si è affatto visto.
Yussur Abrar, con la sua lettera di dimissioni, ha posto l’accento sulla corruzione. Non c’è nulla di peggio, per i paesi donatori, che pensare che i soldi destinati a risollevare le sorti del popolo somalo possano finire con l’arricchire qualche politico senza scrupoli. Il torrente del sostegno si prosciuga e chi ne soffre di più è il popolo.
Appena nel 2011 il Primo Ministro Mohamed A. Mohamed ha conquistato Mogadiscio mettendo in pagamento puntualmente gli stipendi dei militari, dei poliziotti, degli insegnanti, riaccendendo la luce per le strade, riaprendo le scuole pubbliche, attivando i canali internazionali per avere supporto culturale e organizzativo nella burocrazia. E’ un esempio che indica come si conquista il cuore dei governati anche a chi, in questi giorni, è stato chiamato a presiedere il Consiglio di ministri.
La sicurezza si conquista anche ripristinando l’azione dello Stato in tutti i settori in cui la gente ne ha assoluta necessità: salute, istruzione, giustizia, governo, lavoro, economia. E’ vero che in Somalia ci sono problemi ben più gravi che altrove nel combattere il terrorismo di Al Shabab, ma l’azione del governo deve essere una calamita che attiri i fanatici religiosi verso una vita più serena e liberale, anziché risultare la causa di una contrapposizione feroce per l’instaurazione, finalmente, di un ordine senza se e senza ma.
Inizia il nuovo anno. E’ appena stato nominato il nuovo Primo Ministro Abdiweli Sheikh Ahmed. Più in basso di così il Presidente Mohamud non potrebbe cadere. Può solo rimbalzare. Forse ci sono le premesse perché le cose cambino nel 2014. Ma si deve fare in fretta. Un anno è passato ed è stato buttato. Che il 2014 non abbia lo stesso destino. Forza Somalia! Buon Anno!