Sandra Bonsanti
Settant’anni di storia. Oggi che tutto avviene nello spazio di un attimo, oggi che non c’è tempo per un pensiero, un ricordo, una preghiera laica o religiosa, credo che ci sia spiritualmente utile la memoria. Siamo, noi italiani, debitori di memoria davanti al tribunale delle coscienze. E siamo noi italiani debitori di verità.
Dalle stragi nazifasciste di quella maledetta estate che ci restituì la libertà. Alle stragi di altri innocenti che per più di mezzo secolo, almeno dal ’69 agli anni novanta, hanno ferito quella democrazia che speravamo conquistata una volta per sempre. Storie diverse, lontane forse. Eppure tali da non consentire sottovalutazioni di quel filo nero che è nel nostro popolo, quella voglia di accorciare i processi, di sorvolare sui diritti dei più deboli, delle vittime predestinate. Quella voglia di interpretare la libertà come una libertà personale di cercare sempre un tornaconto e di individuare un uomo, l’uomo, che lo può assicurare. Quella voglia di isolare gli onesti e poi lasciare che altri li colpiscano.
Scrisse Piero Gobetti: “Per il fascismo le teorie sono ideologie piacevoli che bisogna improvvisare e subordinare alle occasioni. Le avventure riescono più seducenti che le idee, e queste, perdendo la loro dignità e autonomia sono ridotte a funzioni servili. Il governo di Mussolini esilia nei conventi della critica, offre ai deboli una religione di Stato, una guardia pretoriana, un filosofo hegeliano a capo delle scuole; nello Stato etico annulla le iniziative. All’Italia immatura offre una culla che potrebbe essere la tomba delle coscienze civili diventate private… la monarchia ha seppellito i democratici e la lotta politica. I discorsi sui governi delle competenze e dei tecnici hanno la stessa natura delle prediche sulla grazia divina e lo spirito santo: valsero a rubarci una costituzione che volevano migliorare e a edificare un nuovo monumento di paterna teocrazia. Ma il discorso delle teorie non è necessario quando predomina una questione di istinti assolutamente spensierati. I simboli riescono più significativi delle idee”.
Istinti spensierati: chi potrebbe dire meglio di così quest’ansia di cambiare, di nuovo, di “giovinezza” predicata, ed era inevitabile, sulle macerie della credibilità politica?
Scadenze, ultimatum, abbreviare, cancellare…
Ma la nostra storia, questi settant’anni passati, questo debito di memoria e verità non ci dovrebbero consentire l’ubriacatura, pur se comprensibile, pur se legittimata da tanto tradimento.
E’ un discorso difficile e so di essere inadeguata a spiegarlo. Mi rifugio allora nella pura e nuda cronaca, che è il mio mondo, il mio ambiente naturale. Credo che la vera novità politica oggi sarebbe quella di una classe dirigente che ci dicesse: il primo punto all’ordine del giorno della mia azione di governo è la liberazione del Paese dai fascismi che lo occupano: dalle mafie e dalla corruzione; la riconquista dei diritti e della libertà ottenuta a un prezzo che ci obbliga per sempre ad amarli e custodirli.
Il secondo punto della mia azione di governo è la ricerca della verità: dagli anni quaranta, a oggi, vogliamo denunciare i nemici dello Stato, processarli, fare giustizia, impedire che le manovre eversive corrodano le istituzioni, trattino con la criminalità, si portino via l’anima degli italiani onesti.
Il terzo punto, che riassume i due precedenti, è il rispetto e l’attuazione della Costituzione. Alle spalle di essa c’è il 1944 e tutto il resto. C’è l’agosto di Sant’Anna di Stazzema e c’è il settembre di Marzabotto. Ed è per essa e con essa che dobbiamo pretendere verità e giustizia sulle stragi degli anni della Repubblica. Senza paura di scoprire ciò che già oggi si sa ma non si dice: e cioè quanto sia stato presente e quanto lo sia ancora il filo nero della storia.
Settant’anni che chiedono idee, e non “istinti spensierati”.
Ps. La procura di Dortmund ha incriminato nei giorni scorsi un ottantottenne di Colonia che partecipò al massacro di 207 bambini e 254 donne il 10 giugno del 1944 a Oradour- sur-Glane, nell’Alta Vienne.