Tv e giornali: relazioni da evitare… anche con il milleproroghe

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È dal 2004 che qualunque governo in carica, all’approssimarsi del 31 dicembre si ricorda – o lui direttamente o glielo ricordano le opposizioni in parlamento – che esiste il conflitto d’interessi. In particolare si ricorda che c’è una norma voluta dalla legge Gasparri secondo la quale – dopo una certa data (doveva essere il 2006) – chi possiede tv (Berlusconi?) può comprare quotidiani (Il Corriere della Sera?). Ora non avendo finora mai nessun governo affrontato seriamente il conflitto d’interessi, e tanto meno non avendo nessun governo neppure cercato di cambiare la legge Gasparri, ecco che si è pensato di rimediare ancora una volta temporaneamente al peggio, all’effetto più macroscopico e devastante del conflitto di interessi, vietando di volta in volta, di anno in anno, l’incrocio proprietario fra televisioni e carta stampata. C’è in gioco la qualità stessa della nostra democrazia, visto che sarebbe davvero un obbrobrio dare nelle mani di un solo capo popolo, di un solo leader di partito, il potere di condizionare l’intero sistema dei media più di quanto non faccia già oggi – direttamente con le sue televisioni private e indirettamente con il peso del suo controllo politico sulla Rai.

Prima di Enrico Letta, toccò a Mario Monti e prima ancora a Romano Prodi, inserire in un decreto del governo due righe che spostano nel tempo la scadenza del divieto di incroci proprietari fra tv e carta stampata.
Anche quest’anno lo strumento scelto è l’indecente “mille proroghe“, un decreto legge nel quale confluiscono questioni rimaste aperte, in parte anche a testimonianza dell’impotenza del governo a legiferare sulle singole materie affrontate.

Questa ennesima proroga, d’altra parte, piace alla Federazione degli editori, al sindacato dei giornalisti, fa tirare un sospiro di sollievo a tutte quelle organizzazioni sindacali e associazioni che hanno a cuore la libertà dell’informazione. Eppure non è davvero il caso di felicitarsi per questo con il premier Letta. Non dovrebbe essere “l’ora del salto generazionale“, del cambiamento guidato dai quarantenni? Se resta un intervento spot, siamo in pieno passato. Si tratterebbe dell’ennesimo alibi di chi è incapace di affrontare i problemi alla radice e di mettere in campo riforme concrete. Si può parlare di una nuova legge elettorale, di togliere di mezzo le province e il Senato (tutte misure necessarie) senza rendersi conto nello stesso tempo che siamo già nel pieno della rivoluzione digitale e che la riforma del sistema dei media – a cominciare dal Servizio pubblico radiotelevisivo – dovrebbe essere al centro dei pensieri di chi lavora per migliorare la nostra democrazia?

Più che un semplice salto generazionale quello che serve è un salto di qualità. Dopo la proroga del divieto di incroci proprietari, solo se il consiglio dei ministri si facesse carico della riforma della legge Gasparri, darebbe prova di capacità innovativa e di profondo senso di responsabilità.

L’opportunità di battere un colpo c’è. E passa per una ridefinizione – una rifondazione – prima di tutto del servizio pubblico. Non dimentichiamo che nel maggio 2016 scade la convenzione Stato-Rai. I primi segnali che arrivano dal governo Letta sono del tutto negativi. Ha affidato al vice ministro Catricalà – voluto in quel posto dal braccio destro di Berlusconi Gianni Letta e considerato un grande amico di Mediaset – l’onere di ragionare sul futuro della Rai. In contrasto con le stesse previsioni della legge Gasparri, il governo poi non ha affrontato il tema del rinnovo del canone: non si tratta solo di adeguarlo all’inflazione ma di recuperare l’evasione e di immaginare un sistema diverso già sperimentato in diversi paesi europei, per esempio trasformandolo in una tassa di scopo progressiva sul reddito e con l’esenzione per le fasce meno abbienti.

Che cosa vuol dire, poi, rifondare la Rai, trasformandola da broadcaster in media company? Si può lavorare sul modello inglese, dove a una Bbc senza pubblicità si affianca Channel 4, una tv pubblica con pubblicità. Si può tornare a ragionare sulla divisione fra operatore di rete (una Raiway indipendente che gestisce le torri anche per conto terzi) e fornitore di contenuti (una Rai concentrata sulla qualità della sua programmazione anche per il mondo di internet). Ce n’è abbastanza per mettere anche gli attuali dirigenti della Rai sulla corda e costringerli a farsi carico di un progetto di innovazione che restituisca alla Rai dignità e ruolo. Riuscirà Letta a uscire dalle secche e dalla coazione a ripetere dei “mille proroghe”? E il nuovo segretario Renzi che ne pensa?

http://www.huffingtonpost.it/carlo-rognoni/tv-e-giornali-relazioni-da-evitare–anche-con-il-milleproroghe_b_4504454.html?utm_hp_ref=email_share


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