Secondo il CPJ, Comitato internazionale per la protezione dei giornalisti, per il secondo anno consecutivo la Turchia è la nazione con il maggior numero di giornalisti in carcere.E’ in Turchia che, oggi, i giornalisti combattono il tentativo di ostacolare la disinformazione provocata dalla volontà di oscurare imbarazzanti notizie sullo scandalo politico e finanziario venuto alla luce la scorsa settimana. Il 25 dicembre il governo turco si è visto presentare le dimissioni dai Ministri dell’Economia, dell’Interno e dell’Ambiente in conseguenza dell’indagine che vedeva i figli coinvolti in scandali legati a licenze edilizie e il primo ministro Erdogan ha messo in atto un vero e proprio rimpasto governativo per “ridare lustro alla sua leadership” sostituendo anche altri ministeri come quello per l’Unione Europea e della Giustizia. Un vero scandalo per il governo del “sultano di Ankara” a soli tre mesi dalle elezioni amministrative che, così come era successo con le proteste di Gezi Park, torna a parlare di complotto internazionale e, per limitare i danni, a bloccare il flusso di informazione.
Con un mandato presidenziale si è deciso di vietare ai giornalisti l’accesso alle fonti di polizia per documentarsi, di bloccare un sito web e per finire di ferire un giornalista durante una protesta in piazza Taksim.
Questa escalation si è concretizzata imponendo un fitto controllo al flusso di informazione, cercando di opacizzare il più possibile l’accaduto a scapito del diritto del pubblico a sapere e chiedendo, dunque, ai giornalisti di accontentarsi delle informazioni ufficiali che gli verranno fornite durante le conferenze stampa.
La decisione è stata immediatamente e fermamente condannata da quei giornalisti che si rifiutano di ridurre la propria deontologia alla pura trascrizione e traduzione di testi “dettati” dal governo.
Il provvedimento governativo è stato messo nero su bianco con un decreto dal procuratore generale e sarà fatto rispettare dalle due autorità di regolamentazione RTUK e TIB che “avvertiranno” i giornalisti di non pubblicare informazioni che rischino di “mettere in pericolo la presunzione di innocenza degli indagati”.
Accanto alle iniziative di censura dirette ai giornalisti è stato bloccato anche un sito web di informazione chiamato “Nuova Era” diretto dal giornalista Mehmet Baransu che aveva pubblicato alcune indiscrezioni riguardanti l’indagine anti corruzione svolta dalla polizia.
Fortunatamente Barunsu non è l’unica voce contro corrente e dunque purtroppo non l’unico a subire conseguenze: Nazli Illicak è stato licenziato lo scorso 18 dicembre in seguito ad una sua apparizione televisiva su CNN turk durante la quale aveva richiesto le dimissioni dei ministri i cui figli erano stati coinvolti nello scandalo. Il suo licenziamento è stato motivato con una “divergenza di opinioni”.
La Turchia è oggi classificata come il 154esimo paese su 179 per libertà di informazione. Sono 60 i giornalisti ad oggi imprigionati in Turchia e più di 200 quelli licenziati o costretti a dimettersi negli ultimi due mesi.
La situazione si è così capovolta: il messaggero è il colpevole e dunque i giornalisti i nemici della Nazione.
Il silenzio sotto cui passano tali notizie è forse ciò che più spaventa.
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