Ai masanielli del fronte anarchico-conservatore, non piace che Napolitano stasera rinnovi la consuetudine di rivolgersi direttamente al popolo italiano, sfidando i deliri di camalli, di improvvisati costituzionalisti e di comicherie conformiste alla Crozza; e soprattutto l’ira funesta del condannato, il Proprietario della destra: quella che, pur di non pagar tasse e poter continuare a violar leggi, si sobbarca a credere che le istituzioni si genuflettano ai democratici, che i democratici siano comunisti (mangiatori di bambini) e le mignotte nipotine di Mubarak.
E neppure piace a chi, ispirato alla furia del pereat mundus fiat justitia, che non è il partito dei giudici ma solo dei folli con e senza toga, dice che il presidente si è fatto re: dimenticando che i re non sono la stessa cosa in Spagna e in Arabia Saudita e nemmeno le repubbliche in Germania e in Corea del Nord, perché non esistono gli universali (“I re”, “I presidenti”) , ma solo le specifiche istituzioni create dalla storia, diverse per stirpi, continenti, clima, tendenze. Troppo, forse, pretendere che se ne rendano conto anche i portavoce di quelli che Padoa Schioppa chiamava bamboccioni e Cazzullo descrive come i piangini e Serra gli sdraiati.
E siccome qualche Masaniello ci propone di “Spegnere stasera il presidente e accendere il Tricolore”, io proporrei ai concittadini, a cominciare dai milioni che hanno votato Renzi e da quelli che lo aspettano a Palazzo Chigi, di esporre i loro televisori su un davanzale di casa, insieme al tricolore. Sicché l’unità di patria e presidente appaia evidente e suggestiva a chi passa, rendendo materialmente chiaro quel che è scritto nella Costituzione: “Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”. Va appena ricordato che l’attuale presidente è stato rieletto otto mesi fa da forze politiche supplici. Solo la ben nota morale di qualche avventuriero può oggi spingerne qualcuna a fiancheggiare il turpiloquio, le tricoteuses e i sanculotti: contribuendo così a dimostrare – e me ne sarebbe dispiaciuto per Renzi, se non avesse rotto ogni equivoco di conformismo generazionale governativo – quanto sia precaria, di per se sola, la cultura degli sdraiati e dei piagnoni. (Fra parentesi anche noi, caro Renzi, stiamo con Caterina).
Non sappiamo se il presidente parlerà anche di politica, ma pensiamo di sì. Primo, perché più cresce l’impotenza degli individui più cresce l’aspettativa miracolistica della politica. Secondo, perché a differenza di Germania o Austria, dove non si sa nemmeno chi sia (né perché ci stia) il presidente della repubblica, la Costituzione italiana mette il capo dello stato al vertice di fatto e non ornamentale del sistema. Gli conferisce la rappresentanza unitaria, unificante ed equilibrante del paese. Perciò lo fa partecipe del potere legislativo, che egli esercita insieme a parlamento e governo (autorizza il governo a presentare i disegni di legge alle Camere, promulga le leggi o le respinge, vedi Salva Roma; emana i decreti legge e i regolamenti, indice il referendum, invia messaggi cioè indirizzi politici alle camere); del potere esecutivo (nomina il presidente del consiglio e, su proposta di questo, i ministri); del potere giudiziario (presiede il Csm, commuta le pene); della forza militare (ha il comando delle forze armate, presiede il consiglio supremo di difesa, dichiara lo stato di guerra deliberato dal parlamento).
Nell’ambito di questa cornice, la sua azione può essere soft ma anche incidente. Altro che re. Ricordo la sera delle bombe al Banco Ambrosiano e all’Altare della Patria: dal Quirinale, Saragat annunciò “misure per l’ordine pubblico che il governo va a prendere” (“va a prendere”, non “vorrà prendere: una direttiva, non un auspicio). Ricordo il terremoto bis dell’Irpinia, provocato da Pertini, che trattò da minus habens il governo Forlani costringendolo a recuperare in poche ore il tempo perduto per la protezione civile; ricordo il primo sbattere di naso del premier Berlusconi, quando, presentatosi con la lista dei ministri al Quirinale, se la vide restituire da Scalfaro col nome depennato di Previti, che il boss voleva ministro della giustizia. Mai, fuorché negli anni del terrorismo e di vicende critiche quasi quanto quelle di oggi, il presidente s’ è trovato nella necessità di Napolitano, di garantire – da solo e con la debole copertura di un Pd non ancora uscito dal bozzolo della prima repubblica, vedi le ultime infelici scelte di governo – , il funzionamento di istituzioni incongrue, gradite ai politicanti quanto più acciabattate. Capisco che di questa solitudine nella responsabilità, che non vuol dire essere re ma avere senso del dovere, i mandarini e gli aspiranti Reichsfuhrer della destra vorrebbero che stasera gli italiani non percepissero la tremenda realtà nelle parole del presidente.
E perciò invitano a “spegnere il presidente”. E perciò noi invitiamo chi crede e spera nel paese ad “accenderlo”, a esporre i televisori con le bandiere. Anche a costo di interrompere per venti minuti le chiacchiere dei cenoni, che possono far male alla testa e alla salute.