“Ore di guerriglia nelle città”, Corriere della Sera. “I poliziotti abbracciano l’Italia dei forconi”, il Giornale. Si sono levati il casco (perché era tempo o l’hanno fatto in segno di solidarietà?) e tra i ribelli è scoppiato l’applauso. Ma chi sono questi “forconi” e cosa vogliono da noi? Agricoltori siciliani imbufaliti perché sono pieni di debiti e gli requisiscono la casa, autotrasportatori sfruttati e sfruttatori che non riescono più a pagare carburante e autostrade, gli ultras del Torino e pure quelli della Juventus, uniti nella lotta, “e poi, sicuramente non clandestini, quelli di Forza Nuova, di Casa-Pound, della Destra di Francesco Storace, del Movimento sociale europeo, di Fratelli d’Italia, con il tricolore e tanta voglia di fare casino contro il governo in giro per l’Italia”, come scrive Guido Ruotolo su La Stampa.
“All’assalto senza avere un perché, l’ultima frontiera della rabbia”, titola il Fatto. Quando i perché sono troppi è come se non ce ne fossero: difficile immaginare una trattativa. Con chi e su cosa? È protesta contro Governo e regole, rivolta dopo che il sogno di diventare ricchi o benestanti si è infranto. Protesta di destra, certo, come lo fu il “boia chi molla”, qui a Reggio Calabria dove mi trovo con la Commissione Antimafia, tanto tempo fa, ma come, più di recente, è stato il “vaffa” di Grillo. Sintomo e non proposta, ma sintomo da non schernire.
“Insomma, Renzi non ha perso”, sentenzia Altan. Forse sfottendo Stampa e Corriere, che vedono il neo segretario del Pd già smussare le sue pretese e prepararsi a sostenere il governo Letta-Alfano. “Contratto per un anno e voto nel 2015”, dice il Corriere. “Tra Renzi e Letta, un patto per il 2014”, la Stampa. Il primo problema resta, però, quello della riforma elettorale. Matteo Renzi ne vuole una che gli consenta di governare, senza le forche caudine di una trattativa parlamentare, qualora dovesse vincere al prossimo turno. “Cambio io la legge elettorale”, titola Repubblica. Il neo segretario avrebbe detto a Letta di voler discutere la nuova legge elettorale non solo con gli alleati di governo, ma anche con il Movimento 5 Stelle e con Forza Italia. Berlusconi gli ha telefonato e spera di poter rientrare in gioco. Il potere d’interdizione di Alfano si riduce e così pure la pretesa di Quagliariello di definire una sua organica (e blindata) proposta di riforme. “Renzi, ora comando io”, titola il Fatto, che forse comincia a subire il fascino di questo decisionismo fiorentino.
Nel primo giorno da segretario, viaggio a Roma ma con ritorno. In poche ore ha incontrato Cuperlo, che pare abbia rifiutato il ruolo di Presidente. Ha insediato una segreteria con 7 donne e 5 uomini, età media 37 anni, all’economia un sostenitore di Civati e del salario di cittadinanza, Filippo Taddei. Il faccia a faccia con Letta e poi di nuovo a Firenze. Sindaco e segretario, prestato a Roma e lontano dalle tavole della politica, intorno a cui, mangiando, tessere alleanze e compromessi. Stasera il sindaco-segretario, o sindaco-fiorentino, come dice Gramellini, si presenta ai gruppi parlamentari del partito democratico. Forse scoprirà qualcuna delle sue carte.
Davanti a me, che scrivo, l’Etna carica di neve tra le nubi di una giornata grigia e tiepida. Reggio Calabria, capitale di ndrangheta. Si dice, la più forte, la più ricca delle mafie. Quarant’anni fa mi trovavo qui a seguire, per “il manifesto”, gli ultimi fuochi della rivolta per Reggio capoluogo. E la grande manifestazione che la FLM, il sindacato dei metalmeccanici diretto da Trentin, Carniti, Benvenuto, organizzò quaggiù per cercar di capire e per provare a porre rimedio. Ieri, magistrati e prefetti hanno parlato all’Antimafia, di una città e di una regione in cui chiunque incontri può essere organico alla ndrangheta. Magari “invisibile”, non platealmente affiliato, professionista, imprenditore, commerciante. Hanno parlato della massoneria, rete di complicità e di favori tra affaristi, uomini dei servizi segreti, magistrati, professionisti e mafia.
Reggio l’abbiamo perduta 40 anni fa. I metalmeccanici non fecero primavera e l’Italia accettò il modello di sviluppo così ben rappresentato dall’ex sindaco della città, Battaglia, al grande Giorgio Bocca: uffici pubblici, denaro pubblico, disponibilità di commesse e assunzioni, il tutto da consegnare alla borghesia locale, essenzialmente mafiosa e “massonica”, se questa può dirsi ancora massoneria. Qui, magistrati e poliziotti per bene non devono fare i conti (come qualcuno, purtroppo, continua a dire) con un “antistato” che infiltra lo “Stato” o che con lo stato instaura una trattativa. No, hanno davanti una variante criminale dello Stato, più efficiente perché non deve rispettare procedure né regole, più organica perché sussume l’intera borghesia parassitaria e intermediaria, e perché sa garantire le briciole a chi sta sotto. “Tutti devono pagare”, diceva ieri il procuratore Gratteri, spiegando il pensiero mafioso. “Non troppo, però, in modo che tutti possano pagare”. L’importante è mantenere il rapporto di subordinazione e il ruolo intermediario del parassitismo borghese e mafioso.