Per uno strano caso del destino, l’operazione di Putin per “ripulire” l’immagine da zar è capitata proprio il giorno della morte di Mikhail Kalashnikov, il padre del fucile mitragliatore che tanto lustro (e soldi) ha dato all’ex impero sovietico. Dopo la grazia nei giorni scorsi all’ex oligarca Khodorkovsky che aveva osato sfidare a suo tempo l’inquilino del Cremlino, oggi Putin ha regalato appena tre mesi di amnistia alle “blasfeme” Pussy Riot, scarcerando Maria Alyokhina e Nadia Tolokonnikova, colpevoli di “teppismo motivato da odio religioso” per aver cantato contro il nuovo imperatore russo nella Cattedrale di Cristo Salvatore, suscitando l’ira dei vertici ortodossi. “Solo propaganda” hanno commentato appena libere le due artiste. “La Russia è un’enorme colonia penale” hanno incalzato le ragazze ribelli, promettendo di continuare la battaglia contro la svolta autoritaria. Certamente è un’operazione di facciata dopo le proteste internazionali contro le leggi omofobe di Mosca, soprattutto in vista del grande evento delle Olimpiadi invernali di Sochi, in programma a febbraio. E il paradosso è che proprio la famosa località sciistica, prima della “stretta” di Putin, era la capitale del fenomeno gay, una sorta di San Francisco dell’est. La reazione di numerosi leader mondiali al nuovo corso ha evidentemente convinto lo “zar” a fare un passo indietro per evitare defezioni clamorose.
Del resto, ci sono le cifre a confermare la svolta contro la libertà di opinione di quello che una volta era il capo del Kgb. La denuncia del sito russo della Fondazione Glasnost (“trasparenza”) è allucinante. Dal 1993 al 2009, cioè nel post comunismo, sono stati uccisi quasi 300 operatori dell’informazione: esattamente 294 fra giornalisti, fotografi e operatori televisivi. Un repulisti drammatico cominciato con Eltsin, proseguito con Medveded e ancora in atto con Putin, responsabile di almeno un terzo delle vittime, oltre che di altri 14 reporter spariti. Non solo: in questo periodo sono stati riaperti i manicomi criminali, destinati ai dissidenti, che nel 1970 Gorbaciov aveva chiuso,. Alcuni nomi sono noti e appartengono quasi tutti ai critici per i crimini commessi in Cecenia, come è noto del resto il muro di gomma nel processo contro i mandanti della vittima più illustre, Anna Politkovskaya. Una cronista coraggiosa che ha avuto soltanto un torto: credere in una nuova Russia.