Politica, informazione e querele temerarie. La mia storia (APPUNTI PER IL “FORUM DI ASSISI”)

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La storia che, in accordo con il sindacato, voglio raccontarvi, inizia nel 2010. E inizia da una “fine”, che è quella del gruppo Epolis. Una fine annunciata, visto che già da marzo di quell’anno avevamo iniziato a non ricevere gli stipendi… Una situazione della quale non eravamo a conoscenza solo noi dipendenti. A causa di un pesante buco con l’Inpgi erano già iniziati incontri al Ministero, colloqui con i politici… In quegli anni ci eravamo rivolti a tutti a destra e a sinistra, affinché ci aiutassero a trovare una soluzione. Purtroppo il tracollo è stato inevitabile. Questo per quanto riguarda Epolis, e la mia storia, è conseguente a questa vicenda.

Nel luglio del 2010 scoppiò a Padova il caso “Arpav”, un’inchiesta sulla pubblica amministrazione, non ancora conclusa, che svelò presunti abusi d’ufficio, presunti reati di peculato attribuiti in parte all’allora direttore dell’ente, in parte ad altri. Sulle pagine di Epolis Padova, fui l’unica a scrivere che la Finanza stava indagando su alcuni esposti anonimi, che parlavano di un cambio di sistema informatico nell’Arpav. Un cambio costato sui 700mila euro e avvenuto in base a una relazione-perizia che l’Arpav aveva affidato a dei consulenti esterni. Non entro nel merito della vicenda ma tra questi consulenti c’era anche un professionista, genero di un esponente politico membro del Parlamento. Negli esposti si faceva riferimento a proprio ai nomi di questo professionista e dell’esponente politico suo parente, e la procura diede incarico alla Finanza di andare a fondo della vicenda. Questo è quello che scrissi. Precisando che nessuno era indagato. Il giorno dopo arrivò la telefonata dell’avvocato del professionista, che mi chiese di rettificare tutto. Il legale, inoltre, e mandò una mail agli altri giornali diffidandoli da riprendere quella che riteneva una informazione falsa.
Epolis scelse di non fare alcuna rettifica.

La notizia uscì il 20 luglio. Il 23 luglio l’azienda ci comunicò le ferie anticipate per tutti. Il giornale da quel giorno non ha più riaperto. Due mesi dopo mi comunicano che la Senatrice in questione aveva intentato nei miei confronti e nei confronti del mio giornale una causa civile chiedendomi 250mila euro di risarcimento per quell’articolo. Perchè, sosteneva l’onorevole, il riferimento alla sua persona era “lesivo della sua dignità in quanto si suppone che la giornalista, non descriva i rapporti parentela di tutte le persone che cita nei suoi pezzi”.
… Panico. Chiamo subito l’azienda e scopro che non abbiamo più la copertura legale. Quindi mi sono ritrovata senza lavoro e senza stipendio da sei mesi, e mi dovevo pure pagare un’avvocato. Non possedevo, e non possiedo, nulla se non la nuda proprietà della casa in cui vivevano i miei anziani genitori. Mi sono presentata da Daniele Carlon (l’allora segretario regionale Fnsi) trattenendo a stento le lacrime e chiedendo aiuto. E il sindacato mi ha aiutato. “Ti difendiamo noi”, ha detto. E mi ha presentato all’avvocato Luisa Miazzi, che ha istruito la causa.

Ma non finisce qui perché all’inizio del 2011 vengo a sapere che il genero dell’onorevole, mi ha denunciata, e il pm ha chiesto il rinvio a giudizio. Quindi tra il 2010 e il 2011 ci sono due elementi della stessa famiglia che intentano due cause, una penale e una civile, per lo stesso pezzo, scritto su un giornale che non esiste più e rivolte a una sola persona, disoccupata e senza stipendio da mesi. Altra crisi di panico. Per fortuna ci sono due avvocati, Giovanni Lamonica e Giuseppe Pavan di Padova, che si offrono di difendermi gratis, perché non c’era il tempo di accedere al fondo per le cause penali offerto dal sindacato a Roma.

Morale della favola: tra maggio e ottobre di quest’anno vinco entrambe le cause. A chiudere quella penale è il gup, per non doversi procedere. Vi cito solo alcuni passi della motivazione della sentenza del giudice del tribunale civile di Padova Gianluca Bordon, perchè sono significativi:

“E’ abbastanza palese che se il professionista fosse stato il genero di un comune cittadino la giornalista non si sarebbe minimamente interessata ai suoi famigliari. Il professionista era però famigliare di un importante esponente politico, una senatrice con incarico governativo. L’interesse del giornalista verso il rapporto di affinità nasce dal fatto che l’articolo si occupa di un appalto affidato da un ente pubblico, perché la legittimità della scelta amministrativa compiuta era stata posta in discussione con un esposto alla magistratura. Ciò è avvenuto perché la procedura amministrativa adottata dall’Arpav (per il cambio del sistema informatico) aveva consentito di evitare un bando di gara. Fra le persone che avevano tratto un vantaggio economico vi era un prossimo congiunto di un importante politico, e tale tecnico si era già distinto in passato per aver organizzato un evento su richiesta dell’ex governatore della Regione Veneto.(…) Il tema è dunque di interesse pubblico perché riguarda il rapporto fra azione amministrativa, affari e politica. Gli articoli non si spingono tuttavia a suggerire l’esistenza di un comportamento illecito della senatrice. L’eventuale nesso avrebbe potuto sussistere anche a prescindere da qualsiasi iniziativa della senatrice, per il solo fatto che un dirigente amministrativo, con una scelta discutibile, potesse aver voluto favorire un persona vicina a un personaggio politico. (…) Il ripetuto richiamo al legame famigliare è sicuramente poco piacevole per le persone menzionate. Ma la giornalista non ha trasformato un’insinuazione in un fatto, non consentendo di distinguere i fatti dalle opinioni. Alla lettura dell’articolo un lettore medio comprende che non è emerso nulla di riprovevole. Gli articoli censurati costituiscono espressione del diritto di cronaca, e come tali non possono esporre il giornalista a una responsabilità per un fatto illecito”.

Questa è la sentenza civile, vi risparmio quella penale. Entrambe confermano che il mio comportamento di professionista è stato corretto.
Il giudice civile ha condannato la Senatrice anche a rifondere interamente le spese legali. Ora ho deciso, in accordo con il sindacato, di mediare sulle spese legali per definire l’intero contenzioso. A seguito della sentenza La senatrice, nel suo pieno diritto conciliatorio, l’ha infatti messa più o meno così: “Non ti pago le spese legali ma in cambio non ricorro in appello”.
La mia è stata una scelta obbligata: sono ancora precaria e l’unica cosa che possiedo è la casa dove ancora vive mia madre. Ci fosse anche una possibilità di su mille di perdere questa causa in appello io non posso rischiare di mettere mia madre su una strada.

Ringrazio i legali Luisa Miazzi, Giovanni Lamonica e Giuseppe Pavan ai quali sarò riconoscente a vita. Ringrazio il sindacato e tutti quanti mi hanno accompagnato in questa per traumatica esperienza e mi hanno consentito di uscirne nel migliore dei modi, ridandomi la serenità che avevo perduto.


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