Quest’anno il concorso Obiettivi sul lavoro è dedicato ai tanti che operano nel mondo della conoscenza. Non solo scuola, università e ricerca, ma anche tutto quel lavoro precario e sottopagato che si svolge ogni giorno nell’ambito della cosiddetta industria culturale, che altro non è che la morsa della mancanza di progettualità del nostro paese. Il bando si rivolge ai giovani che vogliano raccontare, attraverso cortometraggi e documentari, un mondo troppo spesso ignorato, in cui paura e ricattabilità contribuiscono a una ferita destinata ad aprirsi e non rimarginarsi, a volte per troppi anni nella propria esistenza. Devo dire che presiedere la giuria del concorso e presentare in questo contesto il mio film Con il fiato sospeso mi fa particolarmente piacere, anche se, nello stesso tempo, è motivo di turbamento. Il film prende spunto dal diario-memoriale di Emanuele Patanè, dottorando del dipartimento di scienze farmaceutiche dell’università di Catania che, prima di morire a 29 anni per un tumore al polmone destro, aveva descritto lo stato di insalubrità del laboratorio di ricerca che ormai da tempo frequentava tutti i giorni. Condizioni di lavoro inaccettabili in un luogo che era la sua vita, la sua casa, che egli stesso aveva preso a definire la sua prigione. Nella finzione Stella (interpretata da Alba Rohrwacher) ama talmente tanto quello che fa, che non smetterà di frequentare i laboratori neanche dopo la diagnosi della malattia. È il racconto di quanto passione ed entusiasmo possano portare a un’intossicazione che non è soltanto fisica (“un giorno ti bruciano gli occhi, un giorno hai le mucose irritate, un altro giorno hai mal di testa e un sapore strano nel palato”, dirà Emanuele – Michele Riondino), ma anche mentale, perché non lascia scampo e, come in ogni dipendenza, fa credere che non c’è altra via se non quella conosciuta, che in questo caso si chiama ricatto. Emanuele oggi avrebbe quarant’anni; anche Agata Annino, sua collega deceduta dopo di lui, avrebbe quarant’anni. Troppo giovani fino ad accorgersi di essere troppo vecchi, molto spesso i lavoratori della conoscenza non sono niente, abituati così tanto allo sfruttamento della propria intelligenza, che non conoscono altra via se non quella di non veder riconosciuto neanche un salario, il più elementare dei diritti. Forse comincio a capire il perché del mio istintivo turbamento: spesso, nel lavoro della conoscenza, lo sfruttamento passa per l’autosfruttamento; come topi nello stabulario ci si affanna in attesa del momento della capitalizzazione delle esperienze, nella convinzione che una volta finito l’autosfruttamento, si entrerà nel cosiddetto mercato, quando purtroppo nel nostro paese vince l’assuefazione e la convinzione conformista e consolatoria che con la fine dell’autosfruttamento verrebbe meno anche l’autonomia e la libertà creativa. Il ricatto ha varie facce: a volte anche questa. Con il fiato sospeso, oggettivamente, è stato un successo; e dà soddisfazione sapere che inizialmente era un’autoproduzione e che, quindi, non contava su nulla se non sulle proprie forze. Ma siamo davvero sicuri che devo essere felice perché la formula autonomia – libertà ha dato i suoi frutti al costo di aver lavorato tutti gratis? E ancora, sono proprio sicura che devo essere appagata nel portare a termine un nuovo film che parla dello sfruttamento del lavoro operaio (Triangle) quando io e i miei collaboratori siamo i primi a farne le spese in termini di condizioni e salario? Ci penserò domani, oggi non posso che augurarmi di visionare tanti bei cortometraggi e documentari, tanto più che il premio consiste in una bella sommetta di denaro, il che, come abbiamo capito, non guasta.
Tutte le informazioni per partecipare al bando si trovano nel sito www.obiettivisullavoro.it