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La Rai è un sistema ingabbiato dal controllo politico in maniera pressoché inespugnabile (Intervento per il Forum di Assisi)

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Non posso essere fisicamente ad Assisi per una brutta influenza ma vorrei condividere ugualmente con voi alcuni pensieri. Quando mi parlò del convegno, tempo fa, Beppe Giulietti mi chiese se preferissi intervenire sul tema norme e governance Rai, in un panel che declinava questi temi in chiave europea, oppure sulla suggestione racchiusa nel titolo, le periferie invisibili, oscurate dai media – e in larga parte esiliate anche dagli schermi Rai. Poiché l’influenza mi esime dal vincolo di sedere a uno dei tavoli, posso proporvi una riflessione che, di fatto, si pone a cavallo tra le due prospettive.

Come premessa, vorrei dire che, per come intendo la suggestione del titolo “Nessuno escluso. Illuminare le periferie: infromare, informarsi”, l’area semantica del termine “periferie” s’è negli ultimi anni allargata a dismisura: in un certo senso, ormai è “periferia”, reale o simbolica, tutto ciò che non è illuminato dai riflettori costantemente puntati sul palcoscenico della politica romana, con la sua agenda angusta e i suoi protagonisti.
Per quanto riguarda l’informazione Rai, in primo luogo i telegiornali, ma anche buona parte dei programmi d’approfondimento informativo, sono convinta infatti che l’attenzione per le “periferie” sia scarsa, e così ristretti gli spazi dedicati ai temi eccentrici ed estranei rispetto ai lanci e rilanci che rimbalzano dai talk show alle agenzie, perché la Rai è un sistema ingabbiato dal controllo politico in maniera pressoché inespugnabile.

E’ il mondo politico a nominare, in quote che rispondono alla rappresentanza numerica delle forze in parlamento, il consiglio d’amministrazione, che a sua volta nomina col proprio voto i dirigenti delle testate e delle reti cui sono affidati, in concreto, i programmi informativi, dunque: la rappresentazione della realtà che entra nelle case di milioni di italiani.

Sono di nomina politica gli organismi che sul servizio pubblico e la qualità della sua informazione vigilano, l’Agcom e la Commissione di vigilanza. Vigilano sulla base di un’idea di pluralismo che non va oltre l’equa ripartizione quantitativa di spazi e tempi tra le varie parti politiche. La logica della par condicio domina ben oltre il confine dei periodi elettorali. E’ ormai una forma mentis, un paradigma quasi indiscutibile. Voci, contrapposte ad altre voci. Senza sintesi, senza verifica fattuale. Il telegiornale tende a ridursi per la più parte a una sequenza di dichiarazioni sul tema del giorno. Curioso, poi, vedere come nell’era delle larghe intese gli esponenti politici cui viene porto il microfono risultino spesso alquanto deboli, quanto ai contenuti proferiti. L’impressione è che ormai, in un sistema perfettamente oliato e collaudato, siano di fatto gli uffici stampa dei partiti a indicare quali siano le voci da sentire.

Così, larga parte del flusso informativo si muove entro binari innocui e sorvegliati, funzionali alla agenda politica, e compiacenti nei confronti della classe politica da cui emana, da cui dipende. Per questo, non mi stancherò mai di ripeterlo, ma sono grata ad Articolo21 che è da anni che non si stanca di ripeterlo, a rammentarlo, a riproporre questo tema scomodo, le leggi in cui la Rai è attualmente imbrigliata vanno cambiate.

Oggi non appaiono, se non in forma ridotta o residuale, o in specifiche, meritorie trasmissioni d’inchiesta (che però sono viste da un pubblico specifico, spesso già sensibilizzato), tutte quelle realtà dimenticate dai più, di povertà, miseria crescente, disagio, che chiamerebbero la classe politica a un’assunzione di responsabilità. Se mi concedete una digressione, non sapete quante volte sono stata grata a papa Francesco per aver imposto al dibattito pubblico, col suo peso schiacciante di Vicario di Cristo, il tema dei migranti, degli ultimi, della redistribuzione della ricchezza… meno male che c’è il papa, vien da dire sempre più spesso, anche agli atei e ai laici. Ma non erano, queste del papa, parole d’ordine della politica, una volta?

Mi ha colpito, qualche tempo fa, la battuta di un giornalista ormai molto anziano. “Filogovernativi, credono di svolgere una funzione, di tener buona l’opinione pubblica: ma il TG1, così com’è, in realtà è il più forte nutrimento dell’antipolitica!” – perché ripropone, ogni giorno, un teatro sempre più estraneo e lontano ai problemi vissuti da chi accende la televisione sperando di essere informato.

Il malessere cresce comunque, e come prova la rivolta scomposta dei “forconi”, il fantasma dell’impoverimento diffuso ricomincia a portare le persone nelle strade, comunque. Se i telegiornali del servizio pubblico avessero imposto con maggior concretezza i problemi degli “ultimi”, della schiera sempre più ampia degli impoveriti, non si sarebbero questi imposti all’attenzione di chi siede in parlamento? non sarebbero dovuti entrare con prepotenza nell’agenda politica? Insomma, l’informazione che non pungola i politici perché diano risposte, che non solo non aiuta a comprendere e a disvelare i reali meccanismi di potere che si agitano dietro il proscenio, ma non racconta più nemmeno le cose che chiunque vede, semplicemente, dentro la propria casa, sul luogo di lavoro, dal vetro dell’autobus che attraversa la periferia, di fatto non fa che alimentare la rabbia, la disaffezione, il disincanto. E davvero non ce n’è bisogno, di questi tempi.


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