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Il nuovo pubblicismo, area fragile del giornalismo professionale

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Pubblichiamo anche su Lsdi una integrazione, con i dati dell’ Inpgi, al Rapporto sulla professione giornalistica  presentato il 5 novembre scorso alla Fnsi. 

Il nuovo report è stato realizzato per Voltapagina – il nuovo sito su giornalismi e media animato da Claudio Visani sulla piattaforma Globalist – e  dedicato in particolare al nuovo pubblicismo in Italia.

 

Dalla grande mole di materiali dell’ Inpgi abbiamo cercato di ricavare dei nuovi dati che permettessero di mettere meglio a fuoco le condizioni effettive dei giornalisti pubblicisti attivi. Il primo dato, apparentemente un altro paradosso, è che Il lavoro giornalistico ufficiale, almeno sul piano numerico,  è in prevalenza nelle loro mani.

Sono  24.864  infatti i pubblicisti attivi, contro i 21.475 professionisti.

Il paradosso conferma però senza possibilità di smentite che di fronte alla crisi  il sistema industriale/editoriale del giornalismo italiano ha scelto la strada della minor resistenza, concentrandosi soprattutto  in una vasta operazione di esternalizzazione (outsourcing) .

Prosciugare quanto più è possibile  i poli produttivi centrali (le redazioni, dove il costo del lavoro è più alto), concentrando lì il minimo indispensabile di attività di progettazione, filtraggio, curation e assemblaggio,  e spostando invece all’ esterno tutta la fase della produzione della ‘’materia prima’’ (notizie e servizi), affidata a un nuovo pubblicismo sempre più robusto in termini numerici ma sempre più debole in termini di diritti e di reddito.

E’ un’ area con  una fisionomia del tutto lontana dal pubblicismo di 50 anni fa. Quasi il 40% dei 65.200 pubblicisti iscritti all’ Ordine hanno infatti una posizione all’ Inpgi e più di un terzo di questa area (oltre 20.000 persone) sono pienamente all’ interno del giornalismo professionale.

Un quadro che – come abbiamo visto col ‘’Il paese dei giornalisti’’ – pone al sindacato delle sfide molto complesse ma coinvolge fortemente anche l’ Ordine mostrando  l’ il urgenza di una riforma che preveda, fra l’ altro, il superamento della distinzione fra professionisti e pubblicisti  e l’ eliminazione dell’ alibi della tessera professionale utilizzata da molti editori e dirigenti editoriali surrettiziamente come ‘’moneta’’ e ‘’sotto-salario’’… Continua a leggere su lsdi.it   


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