La sentenza della Corte Costituzionale sul Porcellum del deputato dentista Calderoli, mantenuto in vita dalla convenienza di tutti i segretari di partito (ridotti purtroppo da qualche anno a meri comitati elettorali) e dall’incapacità di arrivare a un accordo, ha scoperto finalmente i giochi spiacevoli della classe politica presente nelle istituzioni. Ora i casi sono due: o i membri dell’attuale parlamento fanno una legge elettorale prima del voto (avvenga, quest’ultimo, tra sei mesi o , con maggiore probabilità, tra un anno e mezzo) o, dopo lo scontro, ci troveremo ancora una volta di fronte a un paese ingovernabile e destinato (come è avvenuto negli ultimi due anni) alle cosiddette larghe intese tra i due partiti più forti in parlamento (democratici e destra berlusconiana), pur con gli aspri contrasti tra i primi e un leader, ormai “decaduto” dal Senato tra i secondi.
Ma basta una legge elettorale, per quanto accorta e accettata da tutti, ad assicurare una buona governabilità del paese? Se si consultano i “classici” della scienza politica, tra i liberali come Gaetano Mosca, tra quei socialisti divenuti fascisti, come Roberto Michels, o ancora i populisti come Thoreau, rispondono tutti che non basta affatto.
La legge elettorale è uno strumento importante ma quel che serve è un’effettiva conciliazione dei diversi interessi, come dei valori di riferimento, e i lettori lo hanno capito da tempo.
Ma un parlamento diviso al suo interno non soltanto dall’uno all’altro partito ma all’interno di ogni formazione partitica (e, con particolare chiarezza, all’interno del Partito democratico che, tra qualche ora, conoscerà le dimensioni della vittoria di Matteo Renzi) arriverà con difficoltà a trovare un punto di incontro necessario per la norma da sostituire al Porcellum.
In astratto, guardando con particolare attenzione all’esperienza storica della penisola che ha superato più di un secolo e mezzo ed è passata da un ordinamento monarchico liberale a quello fascista e poi a quello parlamentare repubblicano si dovrebbe avere una particolare attenzione al sistema dei collegi uninominali che ha retto il sessantennio liberale. Dopo la dittatura più che ventennale fascista, per gran parte del periodo repubblicano, a un sistema maggioritario con correzioni proporzionali quale fu senza dubbio il Mattarellum, così battezzato dal bello spirito toscano di Giovanni Sartori che consisteva in un 75 per cento di collegi governati dal sistema maggioritario a cui si aggiungeva il 25 per cento di collegi eletti in maniera proporzionale.
Ma il Mattarellum ha lo svantaggio, per la destra berlusconiana, di sostituire all’unico leader carismatico che guida il partito personaggi che devono vincere, nel loro collegio, mostrando di avere qualità personali e questo non va bene per una formazione che poggia in grandissima parte sulle qualità (o difetti) del leader supremo. E un sistema, tutto proporzionale, in una situazione di crisi che ha condotto da tempo a uno scontro frontale tra i due partiti maggiori e alle scissioni continue o quasi alla scomparsa dei partiti minori (si veda il caso significativo di Scelta civica, divisa tra i seguaci di Monti e quelli di Casini, rischia di generare un risultato che possiamo definire come in una partita di calcio o di altro sport, una sorta di esito nullo, cioè della pura e semplice riproposizione di un governo di larghe intese, costretto a far poco, pochissimo per non scontentare una delle due componenti del ministero necessaria per andare avanti.
Questa, insomma, è la fotografia attendibile di una crisi che appare, per molti aspetti, difficile da sbloccare se non si passa dai discorsi generali e astratti alle cose concrete e alle cose da fare, discorso peraltro già fatto più volte ma molto difficile da realizzare in una società disgregata in una larga parte del territorio, impoverita in molti anni di recessione, con uno Stato iperburocratico e poco efficiente, una criminalità, mafiosa e non, all’attacco persino nella capitale, una classe politica tutt’altro che rinnovata, partiti non retti in maniera democratica e imprese economiche che faticano troppo ad andare avanti.