Antonella Beccaria
Senza le sue parole, all’origine dell’indagine, l’udienza davanti al giudice per le indagini preliminari di Monza non si sarebbe conclusa con il rinvio a giudizio di tutti e cinque gli imputati. Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia contro la camorra, fin dall’inizio aveva indicato loro, alcuni con precedenti per associazione camorristica e che in questa vicenda sono accusati in concorso tra loro per reati come attentato alla sicurezza dei trasporti e falsità in atto pubblico commesso da pubblici ufficiali. La storia che racconta l’uomo, che da professionista onesto ha detto no a qualsiasi forma di connivenza con la criminalità organizzata, è quella di una passarella pedonale a Cinisello Balsamo, in provincia di Milano, i cui “lavori di saldatura delle parti metalliche [sono stati] gravemente mal eseguiti” al punto da determinare “il rilevante pericolo di deformazione e di crollo”. Le parole provengono dalla richiesta di rinvio a giudizio firmata lo scorso 2 settembre dal pubblico ministero Franca Macchia e il processo inizierà il 17 marzo 2014. Una novantina di giorni che tuttavia a Ciliberto sembrano troppi. È lui infatti che, oltre a dare il via a questa inchiesta, ne ha fatte avviare quattro inchieste e che da tre anni attende di essere inserito nel programma di protezione dei testimoni di giustizia.
“Non lasciatemi solo”, è quanto ripete da tempo il quarantunenne napoletano già a capo della sicurezza sul lavoro del cantiere. “Non riesco più a tutelarmi da me, posso solo attendere che arrivi il sì alla mia salvaguardia”. Qualcosa, in questo senso, sembra muoversi. Dopo anni e decine di pagine di verbali riempite con le sue dichiarazioni, i segnali ci sono. Giuseppe Pignatone, dal marzo 2012 al vertice della procura di Roma, dichiara: “Stiamo istruendo la sua pratica, speriamo di concludere in tempi brevi”. E dello stesso avviso, secondo quanto afferma il testimone, sono le indicazioni giunte dalla segretaria di Filippo Bubbico, viceministro dell’Interno e presidente della Commissione centrale per la definizione e l’applicazione delle speciali misure di protezione. Indicazioni in base alle quali il caso di Ciliberto sarebbe tra i primi in esame e una risposta potrebbe giungere a giorni, forse già dopo l’8 dicembre.
“Mi auguro che sia così”, commenta il testimone, assistito dall’avvocato di Vibo Valentia Giacinto Inzillo. Se lo augura perché la sua storia inizia nel 2010 quando decide di denunciare le presunte malversazioni di aziende che ricevono in subappalto lavori per la costruzione e la manutenzione stradale e su cui grava il sospetto di essere troppo vicine alla camorra. Ciliberto fa i nomi dei clan – a cominciare da quello dei D’Alessandro, che da Castellammare di Stabia si è infiltrato in tutta Italia, e dei Cesarano – e fa anche i nomi di singole persone, dettagliando ruoli, responsabilità, affiliazioni e condotte criminali. Poi, all’inizio del 2011, dalla Dia di Milano gli fanno capire che è meglio che a Napoli non ci torni, troppo pericoloso. Intanto il testimone, ritenuto attendibile dagli inquirenti, ha dato input per ricostruire una ragnatela di lavori pubblici mal eseguiti che collega la costa adriatica al Trentino Alto Adige e ancora determinate aree del Lazio – in particolare nella zona di Ferentino, provincia di Frosinone – a Larino, Campobasso.
Cinque le procure che si mettono a indagare. E ogni volta la stessa rassicurazione: la protezione sta arrivando, che Ciliberto resista. Per resistere, l’uomo deve vivere come se il latitante fosse lui. Lascia Napoli, vende oro, auto e quello che può monetizzare subito e si mantiere soprattutto in località del nord, continuando a nascondersi. Quando non ce la fa più, viene ospitato da qualche altro testimone di giustizia che, oltre a mettergli a disposizione il suo alloggio per una manciata di giorni, ha già una scorta. Poi, però, Ciliberto riparte ogni volta che un magistrato lo chiama e negli ultimi anni ha speso di tasca sua circa 2 mila euro in biglietti ferroviari, fino ad adesso non rimborsati. Deve poi farsi curare, ma anche questo sembra uno scoglio insormontabile. Diabetico dal 2010, fino a pochi giorni fa non aveva più una residenza e dunque non poteva avere un medico di base che lo seguisse e che gli prescrivesse i farmaci necessari.
Infine, a inizio novembre 2013, esasperato dalla costante mancanza di protezione e dalla precarierà della sua situazione che lo ha portato anche a dormire in auto, ha deciso di manifestare sotto il ministero dell’Interno iniziando uno sciopero della fame. Già allora qualcosa sembrava essersi messo in moto: c’erano stati infatti contatti telefonici tra il Viminale e piazzale Clodio, dove ha sede il palazzo di giustizia della capitale, ma fino alla vigilia dell’udienza a Monza nulla di concreto era ancora giunto. Intanto il testimone ripensa agli ultimi tre anni della sua vita, all’impossibilità di ricostruirsi una professione lontano da Napoli e alla consapevolezza di essere nel mirino di quei settori della criminalità organizzata che ha denunciato. “Nel settembre 2010 mi hanno sparato in una finta rapina”, spiega, “e hanno minacciato di passare a prendere a scuola mia figlia, che ha 12 anni. Anche quando sono stato ricoverato in ospedale sono fuggito perché temevo che un’eventuale ritorsione potesse raggiungermi pure lì”.
“Cosa domando?”, prosegue. “Non chiedo denaro, ma che mi siano date le tutele che spettano a quei cittadini onesti che denunciano i mafiosi”. E poi che gli sia offerta la possibilità di stare al fianco del figlio nato lo scorso 10 ottobre e da cui deve tenersi lontano. “Le festività natalizie sono quelle tenute più d’occhio dagli uomini dei clan perché si tenta di raggiungere le proprie famiglie”, conclude Gennaro Ciliberto. “Dunque devo evitare di avvicinarmi al mio bambino. Adesso spero davvero che a giorni venga accolta la mia richiesta di entrare nel programma, che qualcuno mi faccia questo ‘regalo’”. Se non dovesse accadere? Promette di riprendere con le sue proteste pubbliche, a iniziare da un nuovo sciopero della fame davanti al Viminale. E nel frattempo le 29 mila firme raccolte via Internet attraverso un appello su Change.org saranno consegnate al ministro dell’Interno Angelino Alfano.