di Alessandro Ambrosin
ROMA – Li hanno catturati i due evasi dai carceri di Genova e Pescara. In manette sono finiti nuovamente sia il temuto pluriomicida catturato in territorio francese, che il camorrista pentito acciuffato a Forlì. Entrambi, approfittando di una vacanza premio, hanno cercato di svignarsela provocando l’indignazione dell’opinione pubblica che si è chiesta come questo sia potuto accadere. Infatti, la vicenda non coinvolge pericolosi “ladri di bicilette”, bensì personaggi il cui curriculum giudiziario è costellato di una serie di reati da far accapponare la pelle.
Adesso, saranno le istituzioni carcerarie, o meglio, i responsabili diretti di questi due detenuti a tirare un sospiro di sollievo, visto che la vicenda ha acceso i riflettori su un fenomeno che mette in risalto le negligenze delle istituzioni che, al contrario, dovrebbero garantire alla giustizia i malviventi pericolosi. Non bisogna essere giustizialisti per capire che sarebbe bastato un occhio in più di riguardo per tutte quelle persone che si sono macchiate di terribili delitti e magari, prima di rimetterle in libertà, anche se per poco tempo, sarebbe stato utile accertarsi effettivamente sulla loro completa affidabilità e soprattutto sull’integrità psicologica. Sarà pure un principio costituzionale la rieducazione della pena, ma se uno ha già ammazzato tre persone sarebbe il caso di andarci molto cauti. Invece, sembra che questo particolare venga meno, tant’è che dal carcere si era inizialmente detto che uno degli evasi era solo un ladruncolo e non un pluriomicida.
Ma c’è un altro punto che lascia riflettere. Infatti, non si capisce come mai solo in questi giorni si sia parlato di evasioni dal carcere. Il rapporto presentato ieri sugli istituti penitenziari da Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, fa luce su un problema non di poco conto. Nel 2012, infatti, 52 detenuti si sono dati alla fuga durante il permesso premio, ovvero almeno 4 ogni mese non hanno fatto più ritorno in carcere.
Eppure, nessuno, nemmeno le autorità preposte al controllo, istituzioni comprese, ne hanno parlato. Solo oggi il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri dice che sono in corso i necessari accertamenti sulle relative responsabilità di questi episodi. Ben venga qualunque approfondimento del caso, per carità, anche se arriva con una certa lentezza. Il ministro precisa che il permesso premio costituisce insieme ad altre misure, come l’affidamento in prova, la semi libertà, il lavoro all’esterno, uno strumento essenziale per il reinserimento sociale dei detenuti. E su questo non ci piove sopra. Tuttavia, una cosa andrebbe detta: forse ci vorrebbe meno burocrazia e più presenza di personale qualificato all’interno degli istituti che fosse in grado di monitorare e capire la situazione individuale di queste persone se vogliamo veramente puntare sul recupero. Perchè, è evidente, se uno fugge e chi lo deve custodire non sa neppure perchè è dietro alle sbarre, c’è davvero da preoccuparsi.
Da dazebao.it