Perché Fabio Amendolara e l’ex direttore Leporace non sono colpevoli di diffamazione aggravata. Non è reato rilanciare un articolo altrui
“Non costituisce reato” riprodurre i contenuti di un articolo altrui, se lo si fa indicando la fonte, con lo scopo di fornire al lettore un punto di vista interessante in relazione ad un evento di attualità (la cosiddetta “prospettiva del terzo informatore”) e senza voler arrecare danni (“elemento soggettivo del dolo”): con queste motivazioni l’8 novembre scorso il giudice del Tribunale di Cosenza Giusi Ianni ha assolto il giornalista de Il Quotidiano della Basilicata Fabio Amendolara.
Assolto di conseguenza dall’accusa di omesso controllo “perché il fatto non sussiste” l’ex direttore della testata, Paride Leporace: il reato di omesso controllo non c’è “ove venga accertato che nessun reato è stato commesso dall’autore dell’articolo”, scrive il giudice.
LA QUERELA – Era stato infatti Leporace a chiedere ad Amendolara di inserire fra virgolette il testo di un post del blog del giornalista Marco Travaglio in una pagina del quotidiano, inclusa nell’edizione del 31 gennaio 2008. La pagina, realizzata da Amendolara, trattava dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Potenza, in relazione al quale il testo di Travaglio era pertinente, perché criticava la scelta di affidare l’inaugurazione al magistrato Vincenzo Tufano. Quest’ultimo, sentendosi danneggiato dal leggere su un quotidiano locale una forte critica nei suoi confronti, aveva querelato Il Quotidiano, chiedendo anche un risarcimento danni di circa 130 mila euro.
La scelta di citare in giudizio i giornalisti lucani, aggiunge il giudice, non è appropriata: Tufano “avrebbe dovuto sporgere querela direttamente nei confronti di Travaglio, autore delle dichiarazioni ritenute lesive della sua reputazione” e non chi aveva riprodotto l’articolo indicandone chiaramente la fonte.
Non è rilevante inoltre, per il giudice, il fatto che Tufano evidenziasse il potenziale danno arrecabile alla sua reputazione da una pubblicazione locale, in grado per questo di arrivare a persone che altrimenti non ne sarebbero mai venute a conoscenza, “ad esempio perché anziane e non aduse agli strumenti informatici”, scrive ancora il magistrato. Ciò che conta, infatti, è la mancanza di “una qualsiasi volontà denigratoria” da parte di Amendolara.
QUERELA “NON PRETESTUOSA” – La difesa di Amendolara, dal canto suo, aveva chiesto la rifusione delle spese sostenute e il risarcimento danni. Il giudice, nonostante abbia riconosciuto la totale innocenza del giornalista – chiesta anche dal pubblico ministero Donatella Donato -, ha negato “una qualsiasi responsabilità risarcitoria del Tufano per l’iniziativa giudiziaria intrapresa”, in quanto la vicenda riguarda “la dibattuta problematica giuridica della responsabilità del giornalista che riporti dichiarazioni altrui”.
Neanche è possibile, conclude il giudice, la rifusione delle spese, applicabile – come prevede l’articolo 542 del codice di procedura penale – laddove ci sia assoluzione perché il fatto non sussista o non sia stato commesso, e non, come appunto in questo caso, per “non aver commesso reato”.
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