«In Danimarca, alle ultime elezioni, ha votato con questo sistema il cinque per cento degli aventi diritto ma che vivono lontani dai luoghi di residenza. Alle primarie del Pd sono stati il due per cento. Alle politiche si potrebbe arrivare a due milioni e mezzo». Sono le stime dei membri di Io voto fuorisede, associazione di studenti e lavoratori accomunati dall’impossibilità di esercitare un diritto fondamentale, garantito invece nel resto d’Europa. Il disegno di legge che permetterebbe loro di recarsi alle urne è da mesi fermo tra i corridoi di Montecitorio
«L’8 dicembre alle primarie del Pd potranno votare fuorisede tutti i cittadini che ne facciano richiesta. Tuttavia lo stesso non avviene per le elezioni politiche del nostro Paese: in Italia si stimano oltre 800mila cittadini che non riescono ad esprimere il loro voto a causa della lontananza dal luogo di residenza». È l’appello lanciato da Io voto fuorisede, associazione nata nel 2008 che si propone di permettere a quanti vivono in città diverse da quelle di origine – studenti come lavoratori – di esercitare uno dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. «È assurdo che per la primarie di un partito i fuorisede possano votare e per le politiche no», afferma Salvo Ognibene, originario di Menfi, nell’Agrigentino, e studente dell’ateneo di Bologna.
In nord Europa, ma un po’ ovunque nel vecchio continente, esiste la possibilità di votare per delega. Ma non in Italia, dove si è preferito optare per le tariffe agevolate per far rientrare i cittadini nei Comuni di provenienza. Tagliando però fuori anche gli studenti Erasmus. «Nei giorni della loro protesta ci siamo uniti anche noi», prosegue Ognibene. Ma entrambe le iniziative non hanno portato a un risultato. «Ci ispiriamo al modello danese», spiega Stefano La Barbera, palermitano trasferitosi a Torino. «A seguito di uno studio di una collega, abbiamo trovato che quello attuato in Danimarca è quello più simile al voto italiano». La proposta, racchiusa in un disegno di legge, è quella di attuare un voto anticipato: «I seggi sarebbero allestiti nelle prefetture e poi i voti verrebbero inviati nelle circoscrizioni». L’idea è quella di non alterarne il numero e non contribuire a complicare ulteriormente il quadro, cosa accaduta con la creazione dei seggi riservati ai residenti all’estero. «Non ci sono problemi di ordine legislativo – chiarisce La Barbera – Manca la volontà politica». «La nostra proposta, oltre ad essere garantita dalla Costituzione, contribuirebbe ad abbattere i costi», fa eco Ognibene.
«Il disegno di legge che abbiamo elaborato l’anno scorso è arrivato al Senato, si aspettava la discussione assieme alla riforma elettorale», racconta lo studente. Ma, complice la caduta del governo di Mario Monti, l’iter è stato inesorabilmente bloccato. Nella legislazione corrente si sono interessati alla questione due onorevoli isolani del Partito democratico, «Magda Culotta (siciliana, ndr), che aveva inserito il tema nella sua campagna elettorale, e Marco Meloni, membro della commissione Affari costituzionali della Camera», cagliaritano e responsabile Istruzione, università e ricerca del Pd. «Ma sono passati otto mesi e non è stato fatto nulla – lamenta La Barbera – E adesso ci avviciniamo alle elezioni europee, la discussione in parlamento è lunga» e si rischia di perdere un’altra occasione.
«In Danimarca, alle ultime elezioni, ha votato con questo sistema il cinque per cento degli aventi diritto – sottolinea Stefano La Barbera – Alle primarie del Pd i voti dei fuorisede sono stati il due per cento. Alle politiche si potrebbe arrivare a due milioni e mezzo, ed è una cifra sottostimata». Una fetta consistente di elettori impossibilitati a esercitare la propria scelta. «E non è un problema solo di noi terroni – fa notare Salvo Ognibene – Con le nuove graduatorie nazionali per Medicina, molti studenti del Nord studiano al Sud». E adesso anche loro fanno parte dell’esercito di fuorisede senza diritto di voto.