Per decenni la RAI è stata privatizzata: metà ai partiti, l’altra metà ai pubblicitari. Gli uni e gli altri hanno cercato di farne uno strumento docile per i loro interessi. Lottizzandola i primi, riempiendola di “spazzatura” i secondi, in concorrenza con Mediaset. A dispetto delle convenzioni e dei contratti di servizio che la vorrebbero al servizio dei cittadini, la RAI non è mai stata un vero servizio pubblico. “No, non è la BBC”, cantavamo qualche hanno fa, con invidia. Poi dall’invidia sono nate delle proposte di legge, che ancora, in Parlamento, nessuno prova almeno a discutere. Svendere ora la RAI, sia pure in parte, non vuol dire solo spegnere la speranza di fare di questa nostra azienda un vero servizio pubblico che, sul modello della BBC e di altre televisioni europee, metta la qualità professionale al di sopra dei profitti. Vuol dire anche rinunciare all’effetto trainante che la concorrenza del servizio pubblico può esercitare sulla tv commerciale, lasciare campo libero ai produttori di “spazzatura”. Articolo 21, con la collaborazione di altre libere associazioni di cittadini e di un gruppo di parlamentari che ad essa fanno riferimento, è determinata ad opporsi a qualsiasi forma, vecchia o nuova, di privatizzazione, per fare finalmente della RAI un bene comune.
P.S. Poche ore dopo aver pubblicato questo articolo ho letto con piacere sulla Repubblica, nella rubrica “Il Sabato del villaggio” di Giovanni Valentini, l’editoriale intitolato “Un bollino di qualità per tutta la tv pubblica”. Nel testo, che condivido in pieno, si parla anche di una lettera inviata alla presidente della RAI, Anna Maria Tarantola, con cui l’EBU (European Broadcasting Union) esprime la sua “netta contrarietà” all’ipotesi di distinguere con un bollino di diverso colore i programmi prodotti con i proventi del canone da quelli prodotti esclusivamente con i ricavi pubblicitari, sottolineando che “non è prevista da nessun servizio pubblico europeo rappresentato da questo organismo internazionale”. Un bollino di qualità, semmai – osserva Valentini – dovrebbe essere applicato a tutti i programmi della tv di Stato, compresi quelli di intrattenimento, “per esigere e certificare un livello di contenuti adeguati al suo ruolo e alla sua funzione”.