“IMU e acconti, labirinto fiscale”, titola in prima pagina il Corriere della Sera. E labirinto è un eufemismo. Come finanziare il taglio della seconda rata, quella che scade a dicembre, dell’odiato balzello che abbiamo cancellato per onorare il patto con Berlusconi? Scrive Massimo Riva su Repubblica: “Fa cadere le braccia lo spettacolo di un governo che, a sei mesi dall’annuncio dinanzi alle Camere e a uno dalla scadenza, non riesce ancora a sciogliere quel nodo dell’IMU che si è stretto attorno al collo”.
“Lo stato vende per 12miliardi”, ci informa la Stampa. Vende, per fare cassa, quote di Fincantieri e di Eni. Vende, perché il ministro del Tesoro deve pur raccontare qualcosa alla riunione dell’Eurogruppo che si tiene a Bruxelles. Un soldato che parte per il fronte così imbracato di armi, di maschere antigas, di ordigni difensivi, da non potersi quasi muovere. Così Giannelli disegna Saccomanni; e, protettivo, Enrico Letta gli poggia una mano sulla spalla, come ha fatto in aula con la Cancellieri” e gli sussurra: “Mi raccomando: torna!”
Prendiamo aria, basta parlare dei disastri della politica economica, un po’ di cronaca per distrarci. Ecco Repubblica. “Ruby, le bugie di Berlusconi”. “Fece sesso con lei e pagò i testimoni”. Pubblicate le motivazioni della condanna di primo grado a 7 anni per concussione (la telefonata in Questura) e prostituzione minorile (reato inserito nel codice dalla destra per punire il sesso a pagamento con chi non avesse compiuto 18 anni). Il Fatto quotidiano: “Decadenza e prostituzione; B ora trema: mi vogliono mettere dentro”. Per il Giornale è la conferma evidentissima di una persecuzione. “Giudici scatenati: su Berlusconi fango senza una prova”.
Sallusti va oltre e spiega che il fatto non sussiste. E, per dimostrarlo, si iscrive al partito dei revisionisti, quelli che scoprono, a 50 anni dall’assassinio di Dallas, che JFK non era nessuno. Non il campione dell’Occidente, né il paladino dei diritti civili, e meno che meno lo statista che salvò la pace. Contrordine giornalisti! Sulla scorta del New York Times “i nostri” hanno scoperto l’acqua calda: che Kennedy tentennò a lungo sul tema della segregazione, che infilò il suo paese nel disastro del Viet Nam e che era un puttaniere.
Quest’ultima, conviene in particolare al direttore del Giornale. “Arrivavano di notte alla Casa Bianca nascoste dentro il bagagliaio di un’auto e il presidente le intratteneva nel suo ufficio. Queste consegne a domicilio venivano rispedite al mittente nel giro di pochi minuti…” Qui Sallusti si limita a citare il Corriere, poi l’affondo: “E come titola il Corriere questo resoconto? Il porco di Washington? Un immorale al comando? No, titola: “Il fascino di un traditore”. Sottotitolo: “Perché noi donne (nonostante tutto) lo adoriamo”. Ohibò. Scopriamo ora che a sinistra un presidente disinvolto e fedifrago può essere amato proprio in quanto tale e celebrato da donne a distanza di 50 anni”.
Povero Sallusti, va bene che si rivolge a lettori di bocca buona, ma il paragone (un “Kennedy ad Arcore”, ha la faccia tosta di titolare) non regge proprio. Dopo le sue “sveltine”, Kennedy correva a ridurre il danno della Baia dei Porci. A Berlino disse Ich bin ein Berliner, e poco importa che glielo avesse suggerito Arthur Schlesinger junior. Non si esercitò, come l’altro, a fare “cucù” alla Cancelliera tedesca, per definirla, una volta constatata la germanica assenza di humor, “culona inscopabile”. Né JFK disse mai che Marilyn Monroe fosse la figlia di Nikita Cruscëv, e non mentì alla nazione chiamando “cene eleganti” quei suoi rapporti frettolosamente rubati contro una porta di casa o sulla poltrona di un aereo.
Facciamola finita. Berlusconi non è uno statista con il vizietto. È un uomo malato che dal 2008 al 2011 fu così distratto dalle sue marachelle da non vedere la crisi più grave del secolo. Quando i giornali annunciavano che la notte prima un uomo dalla pelle scura era stato eletto Presidente degli Stati Uniti, Berlusconi telefonava a Patrizia D’Addario, per vantarsi e dirle “ti è piaciuto!”. Quando persino Tremonti pensava che la crisi economica fosse la fine del mondo e si sarebbe tornati al baratto, Silvio era non raggiungibile a villa Certosa a fare “il drago” con Naomi Letizia e altre vergini interessate. Un uomo in fuga da sé, dalla famiglia biologica e da quella politica, che si circondava di ruffiani, imbroglioni e ricattatori.
Solo la paura, con le scosse di adrenalina che regala, può sottrarlo (per un momento) al piano inclinato del suo declino.