Riunito d’urgenza il comitato per l’ordine e la sicurezza, che ha chiesto al ministero dell’Interno di potenziare la scorta al magistrato
«Di Matteo deve morire. Fosse l’ultima cosa che faccio. E con lui tutti i pm della trattativa». Così avrebbe urlato Totò Riina, secondo la ricostruzione fatta da Salvo Palazzolo per il quotidiano “la Repubblica”, dalla sua cella del carcere milanese di Opera. Il boss di Cosa nostra avrebbe confidato a un compagno di reclusione. Confidenze che non sono sfuggite a un agente di polizia penitenziaria. Nino Di Matteo, ricordiamo, è il sostituto procuratore di Palermo e rappresenta l’accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia, avviata dopo le stragi del 1992.
Ennesima allerta, quindi, a Palermo, dove lunedì scorso si è riunito d’urgenza il comitato per l’ordine e la sicurezza presieduto dal prefetto Francesca Cannizzo. Per Di Matteo si è anche valutata l’ipotesi di trasferirlo in una località segreta con la famiglia, così come accadde per i giudici Borsellino e Falcone nel 1985, quando restarono per quasi un mese all’Asinara. Per il momento, però, il comitato provinciale ha preferito chiedere un ulteriore impegno da parte del ministero dell’Interno, rafforzando la scorta del pm. In particolare, si chiede di fornire gli agenti che si occupano della sua sicurezza di un “Bomb Jammer”, ovvero un dispositivo antibomba in grado di bloccare i segnali radio dei telecomandi nel raggio di duecento metri.
Secondo il comitato per l’ordine e la sicurezza, Nino Di Matteo non sarebbe l’unico magistrato nel mirino di Totò Riina. Anche il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato sarebbe in pericolo. Il pm si è occupato a Caltanissetta della revisione del processo per la strage di via D’Amelio, scagionando otto persone e puntando l’indice contro i fedelissimi del “capo dei capi”.
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