Da quattro mesi in Somalia si parla di un rimpasto ministeriale e da quattro mesi viene rinviato, sebbene la comunità internazionale prema affinché la modesta compagine dei ministri venga allargata.
Per vero, già non era stato facile comporre il Consiglio con dieci ministri: per indicare il Primo ministro, al Presidente Mohamud c’è voluto un mese e, poi, un altro mese per individuare i dieci ministri. In questa prima fase emerse subito una divergenza tra il Presidente Mohamud ed il Primo Ministro Shirdon che avrebbe voluto non meno di 18 ministri, sia per le effettive necessità dei vari settori di intervento pubblico, sia per assecondare il pluralismo clanico nell’istituzione ministeriale a beneficio della riconciliazione.
Quel braccio di ferro venne vinto dal Presidente Mohamud con la nomina di soli dieci ministri a lui fedeli.
A distanza di un anno quell’errore pesa: ne risentono sia i servizi, come istruzione e sanità, che non vengono erogati se non ai ricchi che possono pagare le rette delle scuole private e le cure nelle cliniche, sia la pacificazione perché ci sono clan importanti che non partecipano all’esecutivo.
Davanti all’insoddisfazione popolare ed alla pressione internazionale per avere interlocutori effettivamente disponibili in tutte le varie problematiche dell’intervento pubblico, tutte le istituzioni somale hanno dovuto convergere sulla necessità di un allargamento della compagine governativa.
Il Primo Ministro Shirdon, volendosi togliere il masso dalle scarpe, ha proposto la nomina di 22 nuovi ministri che il Presidente Mohamud ha rifiutato non trovando nell’elenco tutti i nomi ai quali pensava, tra cui Farah Abdulqadir, l’attuale Sottosegretario alla Presidenza, considerato l’eminenza grigia di Mohamud ed organizzatore della campagna elettorale che, inaspettatamente, l’ha portato alla carica di Presidente Federale della Somalia. Peraltro, sia Mohamud che Farah Abdulqadir sono esponenti di spicco dell’organizzazione Damul Jadid, filiale somala del ramo dei Fratelli Musulmani radicatosi in Qatar.
In risposta alla lista di nuovi ministri presentata da Shirdon, Mohamud ha indicato una diversa rosa di nominativi che Shirdon, a sua volta, ha rifiutato. Invitato a dimettersi Shirdon ha risposto che può solo
essere sfiduciato dal Parlamento ed insiste per esercitare le sue prerogative costituzionali nella scelta dei ministri.
Dietro questo secondo braccio di ferro c’è la volontà di Shirdon di sottolineare la sua assenza di responsabilità nell’insoddisfazione generale per i risultati dell’azione governativa sin qui sviluppata da Mohamud sia sul piano internazionale che su quello nazionale. In particolare il settore della sicurezza è quello che più ha lasciato a desiderare, ma è anche quello più presidiato da esponenti di Damul Jadid.
Tutta la Somalia assiste con trepidazione a questo scontro istituzionale sapendo che è in gioco anche il rischio di una svolta autoritaria in Somalia di cui la recente chiusura di media liberi Radio Shabelle e di Sky Radio FM costituisce il segnale più evidente così come la fuga all’estero della prestigiosa Governatrice della Banca Centrale somala motivata dalla richiesta presidenziale di fondi senza imputazione a capitoli di spesa nel bilancio e dal timore per la sua vita.
Non meno preoccupata è la comunità internazionale che questa sera, in persona di Nicholas Kay, rappresentante speciale di Ban Ki-moon per la Somalia, ha convocato entrambi i contendenti.