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Somalia, nel paese di “Ayé, ayé” l’autoritarismo fa paura

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Chiunque ascolti due somali che si parlano incontrandosi per strada o per telefono, coglierà il ripetersi dell’espressione “Ayé, ayé” che non vuol dire solo “Dimmi, dimmi”, ma più precisamente “Dammi altre informazioni, altri particolari!”. Perché la Somalia, tanto vive di gossip, che è entrata nella tradizione la favola del cammellaro che involontariamente carpì, attraverso lo spiraglio di una porta inavvertitamente lasciata socchiusa, il segreto dello Sceicco che non si era mai tolto il copricapo in pubblico: lo Sceicco aveva le corna! Ma lo Sceicco si accorse del cammellaro e lo minacciò di morte se avesse rivelato il segreto. Da quel momento il cammellaro, stretto tra la pulsione a rivelare il segreto ed il timore di finire decapitato, prese a gonfiarsi sempre più finché non decise di liberarsi del segreto scavando un buco in terrà nel quale, inginocchiatosi, strillò: “Lo Sceicco ha le corna!!!”. Una volta liberatosi del segreto il cammellaro recuperò la salute, ma su quella terra piovve e crebbe l’erba. Le pecore che mangiarono quell’erba belarono di qua e di là: “Lo Sceicco ha le corna! Lo Sceicco ha le corna!” con ciò volendosi affermare che un segreto, presto o tardi, finirà sempre per essere rivelato.
Di questa favola tradizionale non è stato evidentemente informato il Presidente della Repubblica Federale di Somalia Sheikh Mohamud perché a Mogadiscio sono ormai in troppi a ritenere che la chiusura dei media liberi Radio Shabelle e Sky FM Radio sia avvenuta con lo scopo di far passare, senza troppe critiche, il rimpasto ministeriale col quale si voleva sostituire, all’attuale Primo Ministro Shirdon, una compagine ministeriale interamente legata a Damul Jadid, la frangia somala dei Fratelli Musulmani proveniente da quella radicatasi in Qatar e con propaggini anche in Eritrea.
L’operazione contro i media liberi Radio Shabelle e Sky FM Radio è avvenuta in modo veramente brutale. Chi ha potuto constatare lo stato delle apparecchiature di trasmissione attualmente ricoverate in un magazzino del Ministero dell’interno ha pianto: tutto il materiale elettronico riutilizzabile è stato rubato. Tutto il materiale elettronico non immediatamente fruibile è stato danneggiato irreparabilmente. Addirittura – ayé, ayé – alcuni militari della polizia politica incaricati di smantellare le trasmissioni, sarebbero morti folgorati dall’elettricità distruggendo le apparecchiature ancora connesse. Gli archivi delle registrazioni e delle trasmissioni – la memoria storica di una generazione che ha vissuto solo la guerra, la violenza e gli abusi – sono stati distrutti e il danno culturale alla Somalia è stato immenso, irreparabile e illegittimo.
Sempre sull’onda dell’”Ayé, ayé”, altri aggiungono che l’ingente somma che tramite un autista era stata chiesta dalla presidenza, al di fuori dei capitoli di bilancio, alla Sig.ra Yussur Abrar , Governatore della Banca Centrale Somala – che per questo aveva mandato per posta, dall’estero, le sue dimissioni – servissero ad ottenere nel Parlamento la sfiducia al Primo Ministro Shirdon ove avesse rifiutato di dimettersi.
Ma tutte e due le prospettive si stanno rivoltando contro gli strateghi di Damul Jadid.
Da un lato, infatti, l’ONU sta preparando, tramite Human Rights Watch, un rapporto sulla chiusura di Radio Shabelle e Sky FM Radio; dall’altro, le diplomazie americana e di altri paesi, tra cui l’Italia, hanno chiesto informazioni sul destino in Somalia della libera stampa. Dall’altro lato, infine, il Premier Shirdon ha fatto sapere, ai Ministri e Sottosegretari fedeli al Presidente Mohamud che gli rinnovavano la richiesta delle dimissioni, che intende proporre un Consiglio dei ministri composto da cinquanta parlamentari, tra ministri e sottosegretari, spiazzando così il progetto di un Parlamento a lui ostile.
In risposta al contrattacco di Shirdon – ayé, ayé – si assiste in questi giorni ad un forte incremento dell’ingresso in Somalia di denaro liquido dall’estero. E tanto precisa è l’informazione che – ayé, ayé – si fa espressamente il nome di Fuad Yasin – ex di Al Jazeera e già coorganizzatore, con Farah Abdulqadir, nel Parlamento somalo appena eletto nel settembre 2012, dell’elezione di Mohamud a Presidente della Somalia – che sarebbe giunto questa settimana a Mogadiscio proveniente dall’Eritrea mentre contemporaneamente, da Nairobi, arrivavano 15 milioni di dollari.
In questo braccio di ferro che oppone il Presidente Mohamud al Primo Ministro Shirdon, si intravede il tentativo di Damul Jadid di prendere autoritariamente la padronanza sulla Somalia. Così, però, si trascura la determinante presenza di un Occidente che non pensa affatto a sostenere, politicamente ed economicamente, un governo dispotico ed illiberale.
Sembra così ripetersi, in Somalia, lo stesso errore che ha fatto in Egitto il Premier Morsi, altro esponente dei Fratelli Musulmani, quando, a novembre 2012, stabilì che nessun potere poteva modificare le sue decisioni le quali sarebbero diventate legge senza dover passare dal Parlamento la cui Camera Alta a maggioranza islamista, peraltro, non avrebbe potuto essere sciolta da alcuna autorità.
Seguendo questo esempio, tuttavia, la Somalia dimentica la fine che ha fatto Morsi ed i suoi strateghi di Damul Jadid sembrano avere una visione piuttosto ingenua rispetto alla complessità della comunità internazionale. In ogni caso, la conseguenza più importante del braccio di ferro tra il Premier ed il Presidente, è il rafforzamento degli Al Shabab nel centro sud della Somalia. Una conseguenza prevedibile o da qualcuno prevista? L’Occidente deve accendere un faro su quanto sta accadendo in Somalia e pretendere il rispetto della road map verso le elezioni a suffragio universale nel 2016, prima di dare corso agli aiuti promessi.

http://primavera-africana.blogautore.repubblica.it/?ref=HROBA-1


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