Nell’intervista che uscirà integrale nel numero di dicembre di Nigrizia, il viceministro degli esteri, in relazione al tour africano della portaerei italiana chiamata a promuovere il made in Italy – soprattutto armiero – sostiene: “Non vedo in sé un male se l’Italia ha cooperazione anche militare con quei paesi”.
Articolo di: Gianni Ballarini
E’partita da Civitavecchia la campagna navale della marina militare denominata “Sistema paese in movimento” con la portaerei Cavour che attraccherà nei prossimi 5 mesi nei porti di 7 paesi del golfo arabico e di 13 africani (dove i diritti umani sono scarsamente rispettati, vedi tabelle). Uno spazio espositivo itinerante, così è stato definito, per la mostra delle eccellenze italiane in ambito imprenditoriale, soprattutto nel settore armiero). Tra gli organizzatori del viaggio – che si concluderà il 7 aprile e che costerà 20 milioni di euro – ci sono i ministeri della difesa, dei beni culturali, dello sviluppo economico. Un tour promozionale che sta scatenando polemiche e anche un’interrogazione parlamentare di Sel.
La valigia galleggiante della Cavour ospiterà non solo militari, aziende del settore armiero, colossi come l’Eni e rappresentanti di Expo 2015, ma anche alcune (tre) organizzazioni umanitarie: il Corpo nazionale delle infermiere volontarie della Croce rossa italiana, la Fondazione Operazione Smile Italia Onlus e la Fondazione Francesca Rava N.P.H Italia Onlus. L’obiettivo della missione, infatti, è anche fornire assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose.
La Cavour, quindi, per alcuni potrebbe plasticamente e provocatoriamente rappresentare, il nuovo modello di cooperazione integrata (militari e civili, profit e no profit, commercio e cooperazione) fotografato dalla riforma della legge 49 del 1987 appena uscita dalla Farnesina e che è ora sui tavoli dei ministeri di Economia e finanza e della Funzione pubblica. Domanda (“è questo il modello?”) che abbiamo girato al vice ministro degli esteri, con deleghe alla cooperazione e all’Africa subsahariana, Lapo Pistelli nell’ambito di un’ampia e articolata intervista, su temi legati alle sue deleghe, che uscirà nel numero di dicembre di Nigrizia. Ecco l’estratto che riguarda la Cavour.
«La portaerei fa un altro mestiere. Cerca di utilizzare questi mesi di rinnovata attenzione all’Italia, grazie anche a Expo 2015, per fare un’operazione di promozione in tutte le direzioni. Personalmente mi ha fatto piacere che il sottosegretario Martina, che ha la delega su Expo, abbia chiesto a noi di essere gli architetti della presenza africana della Cavour nelle tappe di Maputo e di Lagos. Occasione per raccontare cos’è Expo a due realtà africane».
C’è chi teme, tuttavia, che la cooperazione, in questo caso, sia come una foglia di fico. Che serva a calmierare le critiche di chi potrebbe percepirci solo come avidi sfruttatori o mercanti d’armi. Attutisce i sensi di colpa, ma intanto i soliti noti continuano a fare i soliti affari sulla pelle dell’Africa.
«Io non la vedo così. E aggiungo: non vedo in sé un male se l’Italia ha cooperazione anche militare con quei paesi. Girando nel Corno d’Africa, quando vedo che noi siamo un terzo degli addestratori del programma Onu di training nella nuova Somalia, per passare dalle milizie claniche a una polizia somala. Quando vedo che in Libia facciamo la stessa operazione per passare dalle milizie di città a un esercito libico. Quando vedo tutto questo non penso che noi stiamo negando l’agenda delle ong o della cooperazione. Quando invitiamo ufficiali delle forze armate di molti paesi africani a fare formazione nelle accademie italiane, attraverso borse di studio, noi stiamo dando un’idea di sicurezza e di rapporto fra forze armate e società civile che può soltanto fare del bene a loro. La collaborazione italiana sia nei rapporti bilaterali sia nel quadro della Ue con l’Unione africana serve a far crescere il senso della loro ownership nella gestione delle crisi. Non credo, quindi, che esista un modello dove le ong fanno la parte della buona coscienza per sciacquare quella cattiva di altri settori. Il fatto che i Carabinieri italiani abbiano inserito un corso a Vicenza presso il Coespu (Centro di eccellenza per le Unità di polizia di stabilità) sulle violenze di genere nei conflitti armati, primo caso al mondo, e che tra pochi giorni la signora Zainab Hawa Bangura, special representative di Ban Ki moon per le violenze di genere nei conflitti, vada a visitare quelle strutture, stanno a significare che anche la presenza militare può essere di un segno oppure di un altro. Il modo in cui noi siamo e lavoriamo in alcuni di questi paesi serve a far crescere un’idea più civile nei rapporti fra forze armate e società».
Non si rischia, tuttavia, di infrangere in questo modo un principio consolidato come quello della separazione politica della cooperazione dagli interventi militari?
«Quello è un principio che c’è e che resta. Nessuno di noi è disposto in alcuna maniera a mettere in discussione la separazione netta delle politiche di cooperazione da ogni forma di assistenza militare. Fa parte del patrimonio acquisito».
La Cavour sembrerebbe il contrario..
«Vivetelo come un evento, che crea sinergia tra diverse cose…».
Fonte: www.nigrizia.it
Da perlapace.it