Ma le banalizzazioni all’italiana hanno impedito che emergesse un altro punto. Il punto di contatto fra Keller e Greenwald sta nel fatto che entrambi pensano che il lavoro giornalistico non ha valore se non è basato su prove e su dati verificabili. E’ questo il vero punto per Greenwald, non l’approccio finto obiettivo. La sua parola chiave per chi fa informazione è onestà, non obiettività. E infatti Keller coglie questo punto quando replica dicendo che il vero rischio è che un giornalista che dichiara pubblicamente il proprio punto di vista poi possa essere indotto a “manipolare” i fatti spinto dall’orgoglio e dalla voglia di sostenere le proprie ragioni.
In estrema sintesi una discussione di alto livello, dove si incrociano tutte le questioni della contemporaneità: business, tecnologie, abusi commessi dal potere,diritti dei cittadini, ruolo di chi sta in mezzo fra società e vertici, che svolge un ruolo di “lettore” dei fatti. Discussione che ha il merito di chiarire ai giornalisti che devono sempre “pensare a quello che fanno” e di indicare pure delle rotte da seguire. Noi in Italia (dove non ci sono soggetti generosi pronti a mettere 250 milioni in nuove imprese solo editoriali) corriamo il rischio dell’omologazione ( i talk show non sono forse tutti uguali?), della marmellata indistinguibile, spesso senza neppure esserne coscienti . Senza identità tutte le voci si perdono nell’indistinto. E poi ci si lamenta che il pubblico cerchi altrove le proprie fonti di informazione.