E’ molto difficile, (qualcuno direbbe impossibile) oggi, guardare con ottimismo alla crisi italiana ma vorrei tentare almeno uno sforzo di chiarezza di fronte alla lotta accanita che sta concludendo le votazioni per il congresso di dicembre del Partito Democratico tra Cuperlo e Renzi allo sfascio già avvenuto nel PDL – prossimo a ridiventare Forza Italia e alla scissione che ha ormai colpito Scelta Civica, dividendo l’UDC di Casini dal gruppo che fa capo all’ex presidente del Consiglio Mario Monti. Non pensiamo ai sondaggi che restano poco attendibili e preoccupiamoci piuttosto, come ha fatto a ragione stamattina Pasquino sull’Unità, che il prossimo scontro elettorale avvenga con un sistema elettorale che faccia eleggere i parlamentari, piuttosto che farli nominare da tre segretari di partito e dai loro staff ristretti.
Quello che mi preoccupa di più in questi giorni in cui le elezioni – per quanto imminenti -non potranno avvenire prima della prossima primavera o nei primi mesi del 2014, è la difficoltà per il maggior partito della sinistra di misurarsi fino in fondo sulle regole interne per la selezione dei nuovi dirigenti nel partito e sul sistema elettorale. Questi due aspetti sono strettamente legati tra loro perchè, solo selezionando bene quelli che dovranno andare in parlamento o guidare il partito, potremo essere sicuri di porre le basi di una ricostruzione dell’Italia dopo un ventennio populista che ha sparso macerie e rovine e ha portato al potere personaggi che hanno seguito passivamente il loro capo, senza rendersi nemmeno conto di quel che sarebbe successo o sono stati (e sarebbe ancora peggio) influenzati in modo diretto o indiretto dai poteri occulti così forti ancora nella penisola.
D’altra parte se il Porcellum non sarà sostituito – nel tempo che ancora resta – da un sistema capace di portare in parlamento e al governo persone oneste e preparate, i rischi saranno gravi per la nuova legislatura, come per il destino di un paese stremato da una grave crisi econima, ostacolato da eccessi di burocratismo stigmatizzati da tutti gli osservatori stranieri e italiani degni di questo nome. Di fronte a una crisi così grave si ha sovente l’impressione che le dispute all’interno dell’uno come dell’altro partito si spieghino più con idiosincrasie personali o con rivalità di antica data piuttosto che sulle cose da fare e sulle scelte da compiere come possibile governo o probabile opposizione.
Nè si può dire (anche questo va ricordato) che i mezzi di comunicazione egemonici – e mi riferisco di necessità ai canali televisivi di fronte alla crisi sempre più profonda della carta stampata – facciano capire agli italiani, al di là della divisione e dello scontro sempre più aspro tra chi vuole una politica economica liberista e chi pensa soprattutto a Keynes e ai problemi dei più poveri, che cosa divida i partiti e soprattutto i leader all’interno di ciascuno di esso. Ma una situazione simile aumenta la confusione e il disagio tra gli italiani piuttosto che condurli a maturare un atteggiamento limpido di fronte alle scelte che, magari tra alcuni mesi, dovranno fare. Di qui la responsabilità di chi ha l’obbligo di informarli e far capire quello che li aspetta.