Domanda: Privatizzerebbe la Rai se diventasse ministro? Risposta: Assolutamente si, non vedo preclusioni. Se diventassi ministro la privatizzerei subito. Ci mancava Yoram Gutgel, presentato da “Italia Oggi” come consigliere economico di Matteo Renzi, per creare ancor più confusione sul futuro del servizio pubblico!Ora Renzi ha tutto il tempo per approfondire la questione Rai. E Gutgel, per ora, ha tutto il tempo per ricredersi. Chi invece ha poco tempo per battere un colpo è l’attuale governo. Ce la farà mai Enrico Letta – adesso che le intese sono un po’ più ristrette – a occuparsi e a preoccuparsi del futuro della Rai? Finora l’Agenda del governo – dominanti le larghe intese – era fortemente condizionata da Berlusconi. E non rientrava certo nei suoi interessi aiutare la Rai a uscire dalle difficoltà in cui naviga. E lo stesso premier si è guardato bene in questi mesi dal mettere sul tavolo del consiglio dei ministri il tema del servizio pubblico radiotelevisivo. Fin tanto che regnava Berlusconi l’argomento Rai è stato un tabù. Ma adesso? Si potrà parlare più serenamente del destino di una grande azienda che fa fatica a uscire dalla crisi in cui è ancora immersa? Oppure il Nuovo Centro di Alfano, che Berlusconi considera comunque un alleato di Forza Italia, come lo è la Lega Nord, come lo sono i Fratelli d’Italia, dovrà fare orecchie da mercante e costringere il governo Letta a mettere ancora una volta il silenziatore anche a quei parlamentari più consapevoli, quelli che sanno bene come l’attuale sistema di governo dell’azienda di viale Mazzini abbia fatto il suo tempo e vada profondamente cambiato?
E’ di questi giorni un rapporto dettagliato di Mediobanca sullo stato di salute dei quattro maggiori operatori televisivi italiani, Mediaset, Sky Italia, TI Media e naturalmente la Rai. Ebbene nessuno se la passa bene. Mediaset nel 2012 ha avuto una flessione dei ricavi del 12,5 per cento, la sola 7 di Telecom Italia Media del 10,8 per cento. L’unica azienda a soffrire meno è Sky che nel 2012 ha mantenuto le posizioni (0,3%). Se si guarda ai dati della Rai si scopre che nel quadriennio 2008 – 2012 ha avuto una caduta dei ricavi del 14,7 per cento (a 2.677 milioni) superiore a quella di Mediaset (meno 12,3 per cento, a 3.683 milioni). E questo nonostante il canone sia aumentato del 7,9 per cento portandosi a 1.729 milioni. Ma il dato più incredibile – e se si vuole anche paradossale visto che la Rai va meglio negli ascolti di Mediaset – è il crollo della pubblicità, quasi doppio rispetto a Mediaset (meno 37,3 per cento sul 2008 contro un meno 18,7). Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sui vantaggi e sul peso che la presenza al governo del patron di Mediaset comporta sul sistema delle aziende inserzioniste, questi dati dovrebbero aiutarlo a capire meglio che cosa vuol dire “conflitto di interessi” in campo televisivo.
Un altro dato che dovrebbe far riflettere? Quello dei dividendi distribuiti da Mediaset ai suoi azionisti: 1,19 miliardi di euro, superiore di circa 100 milioni agli utili accumulati nel periodo 2008 – 2012. Come dire che proprio nel momento in cui l’azienda aveva bisogno di maggior sostegno, i vertici societari si sono mostrati particolarmente generosi nei confronti degli azionisti e soprattutto di Fininvest, che controlla il 41,3 per cento del capitale ed è la holding della famiglia di Berlusconi.
Che dire? Bravo Berlusconi che pensa alla sua azienda e alla famiglia! Ma chi pensa alla Rai? Non dovrebbe spettare al governo, quanto meno al Tesoro che è l’azionista di riferimento?
Le forze politiche che hanno a cuore la riforma del servizio pubblico – e dio sa quanto sia urgente cambiare profondamente la Rai – devono farsi avanti e assumersi la responsabilità di tracciare le linee guida per l’azienda del futuro. E’ tanto più importante oggi che è cominciato il conto alla rovescia per il rinnovo della Convenzione Stato – Rai (maggio 2016) da cui dipende la stessa concessione. Qualsiasi ritardo va denunciato. Altrimenti anche “il governo delle piccole intese” rischia di diventare complice di una decadenza progressiva e di una ulteriore perdita di credibilità della Rai come azienda. Senza parlare di idee improvvisate come quelle di Yoram Gutgel.
*L’ articolo sarà pubblicato domani sul Secolo XIX