La Gazzetta dello Sport in sciopero. Il Cdr, “Pensavamo che qui si facessero giornali, non giochetti per contare nelle stanze del potere”

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“Oggi e domani la Gazzetta dello Sport non sarà in edicola e il suo sito dalla mezzanotte di ieri non è aggiornato. La redazione ha deciso di scioperare di fronte all’ennesimo episodio di mala gestione da parte della proprietà e del management dell’azienda”. Lo scrive in una nota il cdr della Gazzetta dello Sport”. Ci voleva il ritorno della Fiat come azionista di maggioranza del gruppo Rcs per assistere allo scempio della “svendita” del palazzo storico di via Solferino e di quello di via San Marco a Milano, deliberata mercoledì dal consiglio di amministrazione e comunicata in tardissima ora sperando non facesse troppo rumore. Un’operazione da 120 milioni di euro, a fronte di una ristrutturazione recente costata 80 milioni e un affitto da versare agli acquirenti che rende alla fine la plusvalenza quasi nulla.

Soci e manager continuano così nell’opera di disfacimento di un’importante azienda editoriale dismettendo anche l’ultimo bene immobile in suo possesso, garanzia quantomeno delle liquidazioni dei lavoratori. Con una mano gli azionisti – dopo decenni di dividendi incassati – deliberano l’aumento di capitale (reso necessario solo dai loro pasticci) mentre con l’altra si rimettono in tasca qualcosa. Intanto abbattono senza sosta i costi che non dovrebbero toccare, iniziando dai posti di lavoro (370 persone in cassa integrazione, anticamera del licenziamento, nel settore Periodici e robusti esuberi tra i Quotidiani) per arrivare alle pagine di giornale. Ricette trite, perdenti e di brevissimo respiro.

Errori che partono da lontano ma hanno nomi e cognomi. Dagli Anni 90, quando la stessa Fiat rifila a Rcs la Fabbri decotta facendosela pagare ampiamente (risultato: zavorra di debiti e svariati posti di lavoro in fumo). Per arrivare alla fallimentare operazione spagnola per l’acquisto di Recoletos nel 2007, che definire torbida è poco. Vittorio Colao, ultimo manager indipendente di questa azienda, boccia l’acquisto. E allora cosa fanno gli azionisti? Via Colao e dentro Antonello Perricone, “suggerito” da Luca di Montezemolo. Immediato semaforo verde per la frittata spagnola, con un’azienda già in crisi strapagata 1.100 milioni di euro. Dopo di che, al termine di un lustro di vuoto pneumatico in termini di idee e investimenti, Perricone saluta portandosi via una lautissima e clamorosamente immeritata buonuscita da 3,4 milioni di euro. Dove finisce? A fare l’amministratore delegato di Italo, il treno di Montezemolo e Della Valle…

Subentra un nuovo management che, ovviamente, taglia con la scure e mette insieme un piano triennale che annuncia investimenti multimediali e obiettivi quantomeno ambiziosi. Un anno è già passato e di investimenti non s’è vista nemmeno l’ombra. Si sono invece viste solo mosse finanziarie, parecchio discutibili. Che tristezza. Pensavamo che qui si facessero giornali, non operazioni di acrobazia economica o giochetti per contare nelle stanze del potere. E vi raccomandiamo le banche. Prontissime a finanziare Tronchetti Provera (amico azionista, naturalmente) per riprendersi il controllo della Pirelli con soldi non suoi, ma incapaci di dare fiato al primo gruppo editoriale italiano, salvaguardando la sua indipendenza e garantendo il suo sviluppo.

Infine una riflessione anche per il sindaco Pisapia, che non ha speso una parola sulla vicenda. Come se un arabo comprasse la Scala e il primo
cittadino di Milano se ne stesse zitto e lontano. Quando tra qualche anno in sala Albertini ci faranno feste in stile Billionaire magari verrà invitato anche lui. Dovrebbe, insieme a tutti gli altri, provare a pensare a quando i giornalisti, seppur pesantemente sollecitati, non se ne andarono da questo edificio in tempo di Guerra. E a quando, durante la Resistenza, tra le rotative si nascondevano le armi per combattere fascisti e nazisti. Forse qualcuno riuscirà a capire perché mettere la storia in mano a un fondo speculativo immobiliare americano è una vergogna.


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