Siamo nei primi anni Novanta e la República de l’Alcande, nonostante anni di mal governo e una corruzione oramai dilagante, è ancora un’amena isola caraibica nella quale i cittadini hanno conservato un tenore di vita accettabile e un discreto tasso di benessere e soddisfazione. Una notte, però, un devastante terremoto si abbatte sull’isola, causando migliaia di morti e radendo al suolo la maggior parte delle abitazioni. È l’inizio della fine. I cittadini, infatti, vengono abbandonati a se stessi da un governo privo della benché minima credibilità e autorevolezza e tenuti prigionieri in un’immensa tendopoli allestita alla ben e meglio dalla Protezione civile. Dietro a queste decisioni, apparentemente incomprensibili, c’è il desiderio di rivalsa e di dominio di un oscuro imprenditore, Sergio Bermudéz, che dopo aver influito indirettamente per anni sulle scelte compiute dai vari governi succedutisi alla guida del Paese, comprende che il disastro e il conseguente disorientamento generale possono costituire la sua grande occasione.
Ha inizio così una dittatura morbida, sancita da regolari elezioni e avallata, nei primi anni, da un effettivo consenso, legato soprattutto alla politica di edilizia popolare varata da Bermudéz. “Una casa per tutti in cambio del vostro voto” è la principale promessa di Bermudéz, quella che segna la sua fortuna e induce un popolo ridotto alla fame a credergli e ad accettare passivamente le nuove privazioni di libertà, autonomia e dignità cui le decisioni del facoltoso faccendiere lo condannano.
Una dopo l’altra, difatti, vengono smantellate tutte le conquiste democratiche faticosamente ottenute nel corso dei decenni: da un’istruzione di qualità a un’informazione libera; senza dimenticare la tutela dell’ambiente, del lavoro e delle minoranze. Solo quando si trova nuovamente sul lastrico, in un Paese sfregiato sul piano morale e civile e deturpato dal punto di vista ambientale e paesaggistico, la popolazione si accorge di aver a che fare con un dittatore spregiudicato e disposto a tutto pur di arricchirsi e far arricchire la sua ristretta cerchia di fedelissimi, ma oramai è troppo tardi. Per liberarsi dall’oppressione, occorreranno anni di rivolte sanguinose e, soprattutto, lo straordinario coraggio di un’insegnante, la professoressa Francisca De Habenal, capace di utilizzare al meglio l’unico strumento in grado di disarmare qualunque regime: la cultura.
“La dittatura democratica”è un limpido esempio di “realismo magico” all’italiana: un romanzo-favola che, partendo dalle vicissitudini di un’isola immaginaria, descrive con tratti allegorici il nostro incerto presente, denunciando quanto sia semplice oggi instaurare un regime dittatoriale senza bisogno di ricorrere ai carri armati e condannando senza appello le tante “dittature democratiche” che in ogni parte del mondo ci ostiniamo a considerare democrazie.