Uno stagno limaccioso, del quale è difficile persino intuire il fondo, ma chi prova a scandagliarlo, alla ricerca di verità sommerse, si vede in qualche modo messo sotto accusa. Certo, come scrive Luigi Ferrarella su Il Corriere della Sera: “Tutto è a norma di legge, se Consob si fa dare da una Procura i tabulati telefonici di un giornalista, cioè l’elenco che mostra con chi abbia parlato e quando. Ma tutto è anche molto delicato, perché sottile è il confine con il rischio di cadere in quelle prassi che molte sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sanciscono come contrarie all’articolo 10 (libertà di espressione) della Convenzione”.
L’episodio che vede coinvolti due colleghi de La Repubblica (Giovanni Pons e Vittoria Puledda) è paradigmatico di una strisciante insofferenza verso i poteri di controllo costituzionali (perché anche questo è il senso dell’articolo 21 della Carta).
Una breve sintesi per chi non l’avesse seguito: “Nella controversa vicenda della fusione tra Fonsai (ex Ligresti) e Unipol, la Consob – cioè l’autorità amministrativa di controllo sui mercati finanziari – l’11 dicembre 2012 ha chiesto e ottenuto dalla Procura di Milano i tabulati di due giornalisti di La Repubblica , Giovanni Pons e Vittoria Puledda, che nel loro articolo da una parte davano la notizia vera che Consob stava per chiedere a Unipol una rettifica su 200-300 milioni di perdite non contabilizzate nel bilancio 2011 su titoli di finanza strutturata, e dall’altro si chiedevano come mai l’autorità di controllo non si fosse attivata 5 mesi prima, allorché sul tema il p.m. milanese Luigi Orsi le aveva posto un quesito (sempre Ferrarella su Il Corriere della Sera, ndr)”.
Non inganni l’apparente tecnicità della notizia. Che Consob, invece di ottemperare a una richiesta della magistratura, abbia sentito il bisogno di scoprire quale fosse la fonte dei due giornalisti, segnala un pericoloso cortocircuito nelle sue funzioni di organismo di controllo. Tanto più che parliamo di un settore delicato, visto il ruolo avuto nella crisi, come la finanza, specie per ciò che attiene ai suoi rapporti con i gruppi e i potentati economici degli anni ’90 e 2000.
Il quadro, se si allarga l’orizzonte è davvero sconfortante. La recrudescenza delle minacce ai cronisti, la mancata riforma del delitto di diffamazione, le cosiddette “querele temerarie” e , infine, la crisi che ha letteralmente cancellato decine di piccole e medie testate. Gli spazi della libertà di informazione si vanno restringendo attraverso una strisciante forma di censura che non si avvale di leggi liberticide, ma riduce gli ambiti di azione e di autonomia di ogni singolo giornalista, già alle prese con stati di crisi che espellono proprio i professionisti più preparati e con una storia alle spalle. Un cocktail micidiale che, questa volta, non riguarda soltanto l’Italia, ma si sta verificando attraverso una forma di globalizzazione del controllo sull’informazione.
Sarebbe il caso che l’Ordine Nazionale dei Giornalisti scendesse in campo con decisione a difesa dell’autonomia dei giornalisti e della libertà di informazione. Ma sarebbe soprattutto necessario rimettere ai primi posti dell’agenda politica di questo Paese un tema cancellato nell’ultimo decennio: le garanzie di trasparenza e libertà. Elementi senza le quali non esiste il diritto dei cittadini a essere correttamente informati. Anche a questo deve servire l’appuntamento di Assisi di metà dicembre.