Il dopo Berlusconi autorizzato da Berlusconi: mistero fitto

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Ragionerò sul dopo Berlusconi il giorno in cui lui autorizzerà il dopo”: eccola, la frase che descrive la destra dell’accanimento terapeutico per il fu Premier Papi. Non poteva pronunciarla che lui, Raffaele Fitto, e anche se non ho avuto il piacere di sentirgliela dire (l’ha riservata in esclusiva a Bruno Vespa per il libro che Bruno Vespa inocula a noi tutti per anticipazioni d’agenzia), immagino il modo in cui l’avrà proferita, avendo gustato, come voi, il suo indefesso concionare per tiggì e talkshow di questi giorni. Fitto l’avrà sganciata al termine di una riflessione affaticata ma ostinata, intrisa di una devozione per il Capo meno curiale e lirica di quella di Bondi, meno glamour e venefica di quella della Santanché, meno spiccia e bancaria di quella di Verdini. Una devozione sudaticcia e cocciuta, a un tempo causa e indotto della sua parlata da non intellettuale della Magna Grecia, che si estrinseca (la parlata e, prima e di conseguenza, la devozione) in un periodare lungo, punteggiato di accenti lamentosi (verso gli infedeli) e ossequiosi (verso di Lui), un poco ripetitivo nel suo nucleo concettuale, così divulgabile: meno male che Silvio c’è stato, c’è e ci sarà. Ma, a leggerla bene, la frase fittiana di cui sopra contiene, oltre ad un afflato mistico di totale abbandono alla volontà dell’Unto, uno straziante paradosso logico-filosofico: se per Fitto l’era del dopo Berlusconi sarà concepibile quando Berlusconi autorizzerà quel dopo, un ipotetico rilascio di tale autorizzazione da parte di Berlusconi non ne attesterebbe, in realtà, la vigenza, il fatto cioè di non trovarsi l’Umanità, o almeno la destra italiana, nel dopo, bensì nel durante? Come può chi non c’è più dare il nulla osta affinché si pensi che non c’è più? Mistero. Fitto.                                        


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